CORONAVIRUS, SUD«SALVATO»DA UNA QUASI ASSENTE RETE PUBBLICA DI TRASPORTI E DALLA BASSA PRODUTTIVITÀ
Proviamo a considerare alcuni effetti collaterali del coronavirus nel Mezzogiorno, sia nella fase della diffusione, sia in vista della possibile ripresa della vita civile. I dati ci dicono che il Sud è stato ferito marginalmente. Il numero di contagiati e decessi è assolutamente inferiore rispetto alle regioni del nord. Alcune zone come Molise, Basilicata e Salento, sono state quasi risparmiate. All’inizio dell’epidemia, molti esperti avevano temuto un’ecatombe nelle regioni meridionali, date le condizioni non proprio ottimali della sanità pubblica, rispetto a strutture della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna. Così non è stato. Sulla catastrofe lombarda pesano molti errori. Veneto ed Emilia-Romagna si sono difese con organizzazione e competenza ma hanno comunque pesantemente sofferto. Che cosa ha salvato il Sud?Si possono fare ipotesi, sui cui val la pena di riflettere. La prima riguarda la mobilità sociale che in aree come la Lombardia è elevata e si avvale in larga misura del trasporto pubblico. Le linee della metropolitana sono sovraccariche in molte ore della giornata, le attività economiche e sociali sono diffuse e molteplici, con mobilità a tutte le ore e in una “continuità” urbana che unisce milioni di persone nelle tre provincie più colpite, Milano, Bergamo, Brescia. Una situazione ambientale non dissimile a quella di New York, Londra, Madrid. Al Sud, lamobilitàsi regge sopratutto sul trasporto privato, quindi individuale. Lo stile di vita ha ritmi e orari meno frenetici. L’insufficiente e spesso precaria rete di trasporti pubblici ha indirettamente favorito una maggiore distanza sociale. Inoltre,densità territoriale e densità socialesono più basse al sud che al nord, nonostante la congestione abitativa di alcune città. Basta osservare campagne, zone interne, diffusione di abitati a macchia di leopardo. Occorre poi considerarecondizioni climatiche, temperature di stagione, minore inquinamento, fattori che avrebbero concorso a ridurre la potenzialità del virus. C’è infine undato comportamentale. L’allarme è stato preso sul serio, con autodiscliplina praticamente assoluta, sostenuta da caratteristiche molto meridionali: solidarietà, ironia, capacità di sopportazione, al punto da vivere l’emergenza come una fatalità. « ‘A da passà a nuttuta », si dice a Napoli, mentre in Lombardia si sentiva forte e chiaro lo sciagurato «Milano non si ferma». La consapevolezza di non potere contare completamente sulla rete sanitaria ha consigliato maggior prudenza: ancora di più dopo l’ondata di ritorni di parenti dal nord, nei primi giorni. (Ondata che ha fatto aumentare i contagiati, altrimenti sarebbero stati ancora meno di oggi). Fa notizia il modo in cui la Germania ha superato l’emergenza (record di posti in terapia intensiva, organizzazione sanitaria, distanza sociale, peraltro connaturata al carattere dei tedeschi), ma si dovrebbero osservare anchei risultati di Grecia e Portogallo, realtà vicine al nostro Sud, come stile di vita, sia per quanto riguarda protezioni sociali e sanitarie non certo a livelli tedeschi e condizioni climatiche. Il Sud potrebbe paradossalmente considerare il coronavirus anche un’opportunità. Della serie non tutto il male….. Se l’epidemia ci costringerà a ripensare il nostro modello, nel Mezzogiorno le condizioni di partenza, oggi penalizzanti, potrebbero essere favorevoli domani. La diffusione di smart working, il potenziamento delle reti telematiche, programmi d’istruzione a distanza, potrebbero trattenere molti giovani (e anche quelli che sono tornati). Molte aree costiere e interne potrebbero essere riqualificate con investimenti in ambito turistico e culturale e diventare sempre più attraenti, anche in previsione di comportamenti imposti per un lungo periodo. Un’ultima considerazione su stili di vita e mentalità. Anche al Sud sono state aperte inchieste su case di riposo per anziani. Ma non si è verificata l’ecatombe dei ricoveri lombardi. Al di là delle responsabilità, non è fuori luogo chiedersi se i nonni del Sud si siano salvati anche perchè le case di riposo sono poche e perchè i nonni, in grande maggioranza, stanno in famiglia o vivono vicino a i figli.
