CORONAVIRUS. CALENDARIO DI RIAPERTURA PER REGIONI. UNA RICERCA SUSCITA QUALCHE INTERROGATIVO CRITICO

CORONAVIRUS. CALENDARIO DI RIAPERTURA PER REGIONI. UNA RICERCA SUSCITA QUALCHE INTERROGATIVO CRITICO

Coronavirus, sbatti la classifica in prima pagina. I lettori sono avidi di una conoscenza che divida i buoni dai cattivi, chi può riaprire subito e chi deve attendere. Di chi fidarsi e da chi ci si debba guardare, Capitano dunque come il cacio sui maccheroni le proiezioni fatte dagli esperti dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e viene dato loro il massimo spazio sul cartaceo e on line, da Repubblica in primis. Coordinatore dell’Osservatorio è quel Gualtiero Walter Ricciardi al centro di parecchie polemiche negli ultimi giorni, su particolari di secondaria importanza che non vale la pena di ricordare. La persona, professore ordinario di igiene alla Università Cattolica è un professionista di grande competenza. Ultimamente, parlando di cose serie, si è distinto tra gli esperti maggiormente prudenti relativamente all’apertura della fase due, con motivazioni di tutto rispetto, In primo luogo ha espresso il timore che un’eccessiva anticipazione della fine del lockdown, con molta probabilità, potrebbe portare ad una ripresa della pandemia e vanificare gli sforzi e i sacrifici finora sofferti. Una preoccupazione che ci vede schierati, per quel poco che contiamo, sul medesimo fronte, ma che non ci esime dall’esprimere qualche perpessità su alcuni esiti della ricerca. Va detto che, con grande onestà intellettuale, è il dottorAleesandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio a definire i contorni dei risultati acquisiti, guardandosi bene dal proporli in termini dogmatici. Rivendica però la necessità di “fornire una valutazione sulla gradualità e l’evoluzione dei contagi, al fine di dare il supporto necessario alle importanti scelte politiche dei prossimi giorni”. Il che, in parole povere significa prevedere, sia pure approssimativamente, quando ogni Regione italiana raggiungerà il traguardo di zero contagi e quindi quando ciascuna di essa potrà riaprire. Una valutazione quindi dal significato politico davvero impegnativo che ci permettiamo ritenere non dovesse avere anticipazioni informali sui quotidiani, sia pure non esplicite ed espresse con notevole cautela (Ricciardi è consulente del ministro della salute Speranza). Solo ai politici dovrebbe toccare, secondo noi, il pesante dovere di interpretare i dati senza la pressione dell’opinione pubblica, per poi passare alla fase attuativa. Comunque sia gli esiti della ricerca sono venuti fuori, con qualche cautela sul piano del metodo e molte suggestioni sul piano operativo. Sul piano del metodo si precisa che i modelli statistici stimati per ogni Regione “non sono di tipo epidemiologico, pertanto non fondati sull’ammontare della popolazione esposta, di quella suscettibile e sul coefficiente di contagiosità R0, ma approssimano l’andamento dei nuovi casi osservati nel tempo”. Qualche perplessità insorge. Come si fa a fondare un sia pure cauto calendario di riapertura delle Regioni ancora in fase di epidemia senza dare una forte rilevanza a dati di tipo epidemiologico? E’ possibile che le basi del ragionamento siano di tipo prevalentemente matematico. Quando sappiamo quanti episodi connessi ai sussulti della contagiosità si nascondano costantemente dietro l’angolo? E ancora, è estremamente corretto ricordare che “la esatta rilevazione dei nuovi contagi può essere sottostimata”  (ma in maniera differente da Regione a Regione aggiungiamo noi)….”a causa del numero dei tamponi effettuati”. Ma visto che il numero dei tamponi, Regione per Regione, è perfettamente conosciuto, perché, esplicitamente, non se ne è voluto tenere conto? Arriviamo così ai risultati, che dovrebbero definire la graduatoria delle aperture, sia pure con un ventaglio di possibilità aperto agli imprevisti, ma che vedono comunque un prima e un dopo e dunque chi ne potrà ricevere un vantaggio, accompagnato da un rischio presumibilente più elevato e chi potrebbe sentirsi penalizzato e magari maggiormente protetto. La sfilata delle date di apertura delle Regioni si articola da fine aprile a fine giugno e oltre e vede una suddivisione in quattro scaglioni. Nel primo, con una certa flessibilità di date, tra il 21 di aprile il 9 di maggio, Basilicata, Umbria, Molise, Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Campania e Abruzzo. In un secondo scaglione tra il 12 e il 21 di maggio, Lazio, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trento, Valle d’Aosta e Piemonte. Nel terzo, Bolzano e poi, non prima di fine maggio, Emilia Romagna e Toscana. Nell’ultimo, non prima della fine di giugno, Lombardia e Marche. In altra sede abbiamo suggerito un approccio che, pur tenendo conto delle differenze regionali, vedesse una fase due differenziata per problemi e tipologie di intervento (micro zone rosse, tamponi a tappeto, uso delle app). Ma su questo si potrebbe riflettere a lungo. Quello che invece sorprende è che, a dispetto di tutte le prudenti anticipazioni, vengano date precedenze ad alcune Regioni rispetto ad altre, senza che se ne capisca la ragione. Il caso che ci lascia maggiormente perplessi è quello legato al largo anticipo consentito al Piemonte, secondo scaglione, rispetto alle Marche, ultima della fila con la Lombardia. Un’indicazione che ha indotto a protestare il presidente delle Marche Lugi Ceriscioli, secondo noi con qualche valida ragione. Non si tratta di “guerra dei numeri” come dice qualche giornale. Il fatto è che, tra i numeri, non ne abbiamo trovato nessuno particolarmente significativo che giustificasse questo ordine di partenza. Partiamo dal numero dei casi di contagio, meno di 6mila nelle Marche e oltre 21mila in Piemonte. Visto il numero degli abitanti significa che la densità dei contagi nelle Marche è i 4/5 di quella del Piemonte. Inoltre il numero dei tamponi che vorrà pur dire qualcosa, effettuati nelle Marche, in proporzione al numero degli abitanti, sta nel rapporto di 8 a 7 con quelli effettuati in Piemonte. Risultato: rispetto ai tamponi effettuati i casi di contagio riscontrati nelle Marche sono i 2/3 di quelli riscontrati in Piemonte. Obiezione: forse nelle Marche, negli ultimi tempi, la frenata dei contagi è stata più blanda? Assolutamente no, anzi è proprio questo l’indicatore più rassicurante nelle Marche e più preoccupante in Piemonte. Nell’ultima settimana (dal 13 al 20 aprile) le Marche hnno mantenuto un tasso di crescita giornaliera dei contagi sempre al di sotto della media nazionale e di poco sopra al +1% quotidiano. Il Piemonte sempre al di sopra della media nazionale e intorno al +3% quotidiano. Inoltre, se sommiamo i casi di questo periodo, il numero dei casi di contagio, rapportato al numero degli abitanti, è il triplo nel Piemonte rispetto alle Marche. Certo non abbiamo sondato tutti gli indicatori possibili, ma ne abbiamo scovato solo uno in cui le due Regioni sono appaiate: il numero dei morti rispetto agli abitanti. Ma va detto che la tragedia per le Marche è esplosa forse un poco prima, per lo meno nelle sue forme catastrofiche. C’è poi un altro particolare, sottolineato nella critica fatta delle autorità marchigiane. Le Marche, una Regione non a caso “al plurale” può essere suddivisa in tre subaree (Ascoli/Fermo, Ancona/Macerata, Pesaro Urbino). Secondo le ricerche svolte nelle Marche, solo Pesaro Urbino pare conservare margini di incertezza sufficientemente ampi da giustificare un ventaglio largo di date per una possibile riapertura. A Macerata si è avuto un caso di zona rossa a Cingoli, che pare circoscritta, mentre Ascoli/Fermo pare non discostarsi dai dati delle Regioni italiane che meno preoccupano. Perché allora insistere su una classificazione regionale? Sia chiaro, non è certo nei nostri intenti costruire l’ennesima graduatoria. Vorremmo solamente giudizi più articolati e problematici, rivolti cioè ai problemi prima che ai confini amministrativi. Nell’interesse di tutti. In primo luogo degli abitanti del Piemonte e a tutela del loro diritto alla salute. Pure condividendo gli assunti di fondo della ricerca crediamo quindi, senza presunzione alcuna, che se vi saranno conseguenze sul piano operativo, di tutto ciò si debba tenere ampio conto.