DIRANNO CHE BEL FIOR
Dopo “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno (1958), “Marina” di Rocco Granata (1959) e “Quando quando quando” di Tony Renis (1962), e dopo i più recenti “Gloria” di Umberto Tozzi (1978) e “L’italiano” di Toto Cotugno (1983), la canzone italiana oggi più conosciuta, anzi più cantata nel mondo è “Bella ciao”.Un successo internazionale che continua a diffondersi a ogni latitudine. Non ha avuto bisogno di promozioni commerciali, campagne pubblicitarie, lanci di mercato. E’ inaspettatamente riaffiorato dal suo sofferto ma combattivo passato, viaggiando di slancio nel nuovo secolo, lungo quelle segrete linee sentimentali che sempre accompagnano le lotte per la libertà.Dagli indignados di Puerta del Sol a Madrid nel 2011 alle manifestazioni di Piazza Taksim a Istanbul nel 2013, dalle sfilate delle milizie curde a Kobane nel 2014 alle mobilitazioni di Syriza in Grecia nel 2015, dai raduni in Plaza Italia a Santiago nel 2019 agli appuntamenti del movimento delle Sardine in tutte le piazze italiane. E infine, agendo come un formidabile quanto insolito moltiplicatore, riecheggiando nella colonna sonora di una delle serie televisive più seguite, quella “Casa di carta” che appassiona milioni e milioni di spettatori.Come e perché “Bella ciao” sia diventata la canzone politica più cantata al mondo è inspiegabile, ma non per questo il suo impatto appare meno significativo e travolgente. C’è di certo il suo valore simbolico, per quel riferirsi alla stagione della Resistenza italiana e dunque a esprimere quella tensione democratica dei popoli che combattono l’ingiustizia e l’oppressione.Ma essendo pur sempre un prodotto culturale, le ragioni del suo successo risiedono anche nel suo linguaggio musicale lineare e accessibile. Un motivo che si raccoglie facilmente, una metrica che si ripete strofa dopo strofa, un giro armonico (sol-re-si bemolle) semplice e diretto: il tutto per permettere un’esecuzione corale e coinvolgente.In coerenza con i registri culturali del canto popolare, “Bella ciao” interpreta sia il dolore che l’orgoglio, sia la pena che il riscatto. Nelle sue parole c’è la storia sconsolata di un paese sottomesso e, di contro, il generoso immaginario di una generazione ribelle: un repertorio che suscita l’immediata identificazione emotiva di chi ascolta, che quasi sempre finisce per diventarne direttamente partecipe. La stessa scansione musicale, le cadenze ritmiche da ballata tradizionale offrono poi quell’immediatezza che spinge irresistibilmente alla coralità, a quella condivisione del canto che di “Bella ciao” rappresenta forse il principale magnetismo.Tutto il mondo l’apprezza e vi si riconosce. Ma in Italia non è così, non è ancora così, forse non sarà mai così. E allora quale migliore occasione di questo inimmaginabile 25 aprile 2020, per tornare a cantarla tutti e tutte, a corde vocali spiegate, dove, come e quanto ci è possibile? Ps. Se posso permettermi una piccolezza nostalgica, io la canterò battente, cruda e forsennata: come la cantava l’indimenticato Sigaro della Banda Bassotti.Ciao Angiole’…
