LA COMPAGNIA CHE NON C’E’. GENTE COMUNE PER IL TEATRO.

LA COMPAGNIA CHE NON C’E’. GENTE COMUNE  PER IL TEATRO.

L’altra sera ho sentito pronunciare queste parole: “La compagnia che non c’è” . Ho sollevato per un attimo lo sguardo e  ho visto che avevo la soluzione davanti ai miei occhi. Ho capito che l’Italia ce la può fare, che tutti noi possiamo e dobbiamo fare e farcela. Ero impegnato dietro la telecamera, come spesso mi è capitato nella mia vita, stavo controllando l’audio, correggevo il diaframma , sistemavo l’inquadratura, insomma stavo lavorando o meglio stavo contribuendo. Da quasi 14 anni  vivo in una frazione della mia città. Anche quest’anno, per questa piccola comunità locale, è arrivato l’appuntamento dedicato al teatro. Da qualche tempo mi viene chiesto di documentare lo spettacolo , cosa che faccio volentieri. Questo è il mio piccolo contributo Andrea, farmacista , (ma in questo caso regista), prende la parola e introduce lo spettacolo di cui ,con sapienza, cura le alchimie e dice: ”La compagnia che non c’è è formata da un gruppo di persone che vent’anni  si riunisce con la voglia di fare teatro … ” Se pur impegnato e concentrato la cosa attira la mia attenzione. Mi rendo conto di quanto sia attuale questo concetto,. “La compagnia che non c’è”, fa lo spettacolo una volta l’anno perché , pur avendo un nuovo teatro parrocchiale  , quest’ultimo è dato in prestito alla “Chiesa che non c’è” o meglio alla “parrocchia che c’è”e alla sua comunità . La storica chiesa, infatti, è in attesa di ristrutturazione, ha resistito al sisma del 2002 ma non all’usura delle travi di legno che ne hanno compromesso la copertura. “La compagnia che non c’è”, non ha statuto, non ha organigramma. I ruoli fuori e dentro il palco vengono assegnati per capacità, disponibilità e competenza. Oltre ad Alfio, Salvo, Cosimo, esilaranti sulla scena, c’è Luciana attenta ai dettagli che fa la suggeritrice, Il marito ebanista da una mano per le scene, c’è  Pina che recita con il figlio, le sarte per i costumi e chi si occupa delle acconciature. Anche il titolo ha qualcosa di attuale “Tre pecore viziose” , storia di una famiglia allargata con tre uomini che non si prendono le responsabilità, guidati, comandati da una donna che detiene il potere. Eduardo Scarpetta, a cent’anni di distanza mi ricorda come in fondo la nostra sia stata sempre una società matriarcale. E’ paradossale, forse allora c’era più considerazione per la figura della donna di quanto accada adesso.  Una bella serata in cui vedo l’Italia che forse non racconta più nessuno. l’Iitalia delle comunità e dei mestieri. E’ l’Italia di sempre, l’Italia reale che non è in streaming,l’Italia che non deve pagare alcun copyright a nessuna agenzia  di comunicazione . Qui c’è di tutto, il sacro e il profano, Peppone e Don Camillo, c’è soprattutto la voglia di stare insieme affrontando la quotidianità. Certo non basta la buona volontà, non ci si può sostituire alle istituzioni, ma si può e si deve stimolare quest’ultime in modo che agiscano, che diano risposte. La chiesa va ripristinata,“La Compagnia che non c’è” potrà avere così il suo teatro, potrà realizzare più spettacoli durante l’anno, potrà fare scambi culturali con altre realtà teatrali, fare rete, fare sistema nel territorio. In questo piccolo esempio, in questo incrocio di passioni e generazioni, in questo vecchio mondo solidale ,mi piace immaginare, vedere l’unico futuro possibile. Le soluzioni precotte, quelle da fastfood o quelle alla base di birra e crauti non fanno parte della nostra cultura, meglio per noi una sana dieta mediterranea.