LUKE PERRY ERA DYLAN
Luke Perry era Dylan.In quel periodo lo guardavamo più o meno tutti, Beverly Hills 90210.E così, oggi, sappiamo pure tutti a memoria il CAP di una delle città che compongono Los Angeles.Assurdo, se ci pensate: è come se un americano che vive a Malibù conoscesse lo 00159 della Tiburtina.Potenza della tv generalista.Dicevamo: Dylan era quello fico, misterioso e un po’ ribelle, Brandon il bravo ragazzo con la faccia pulita, Brenda la piccoletta con il frangettone e lo strabismo di Venere, Kelly la figa e Donna quella che stava lì chiaramente solo perché era la figlia del produttore.Steve, invece, era quello che poi ha fatto Sharknado e ha acquisito l’eterno e meritatissimo rispetto di tutti noi. Era ovvio che, allora, tutte le ragazzine fossero innamorate di Dylan e non di Brandon.Un po’ come adoravano Robbie e Mark dei Take That e non Gary Barlow, che poveraccio scriveva tutte le canzoni ma che non si filava di striscio nessuna.Lo show biz è una cosa crudele, le ragazzine sono crudeli, Gary. Alle ragazzine, da che mondo è mondo, piace il tipo ribelle, non il bamboccione con gli occhioni azzurri che si fa comandare a bacchetta dalla mamma.Quindi, alcuni di noi, decisero di prendere Dylan a modello estetico.Ricordo che indossava spesso, nella serie, una sorta di felpa leggera con cappuccio a fantasia vagamente messicana.Ne aveva vari modelli, in realtà, di varie fantasie, tutte messicaneggianti (sicuramente alcuni di voi sapranno dirmi come si chiama in realtà quell’indumento, se ha un nome).Insomma, quegli affari divennero di moda.Nella mia scuola lì indossavano parecchi ragazzi.Funziona così ovunque: se una cosa attira le donne, finisce che te la copiano. Poi, col tempo, molti scoprirono che purtroppo non era la felpa con la fantasia messicaneggiante ad attirare le ragazze.In quella fine degli anni 80/inizio 90, un sacco di soldi di tanti bravi genitori furono buttati nel cesso per comprare degli indumenti che neanche hanno un nome vero. Comunque lui fu senza dubbio un sex symbol, in un certo senso.Magari limitato solo alle minorenni, magari non particolarmente originale (il personaggio era una sorta di rivisitazione acqua e sapone “90s” di James Dean) ma lo fu.E quasi nessuno di noi può dire altrettanto, ahimè. Keith Flint, invece, era l’opposto.Era quello che, nel video di Firestarter, fece impazzire l’altra metà del cielo (in tutti i sensi), i cosiddetti “alternativi”.Era quello che faceva paura, strabuzzava gli occhi, faceva le linguacce e aveva i piercing.Era il bad boy vero, reale, mica quello plasticone in onda su Italia Uno alle 20.30.E nelle serate rock, quando ballavi Breathe, provavi a fare anche tu le facce e i movimenti scattosi della testa che faceva lui.Doveva essere divertentissimo vedere dall’esterno la scena di un mucchio di teenager brufolosi e scoordinati che tentavano di imitare quella roba.Io non posso saperlo, ovviamente, perché ero uno di loro. No, ieri non sono morti gli anni 90, non scherziamo.Però sono morti due personaggi che ricordano tutti quelli che, negli anni 90, erano lì.E ognuno di noi, anche quelli che fanno finta di niente, ha senza dubbio un personalissimo ricordo di entrambi. Non è mica poco, se ci pensate.
