SE QUESTO MATRIMONIO S’HA DA FARE, VA FATTO BENE: IMPRESSIONI DALLA CRISI

SE QUESTO MATRIMONIO S’HA DA FARE, VA FATTO BENE: IMPRESSIONI DALLA CRISI

Alla fine, sembra proprio che questa unione, che per molti fino a ieri sarebbe stata decisamente innaturale, altro che coppie di fatto, sia sul punto di nascere. Il tutto parrebbe proprio una delle conclusioni più strane di una delle crisi di governo più strane che si ricordino e che, in ogni caso, lascia delle chiare impressioni su chi esca vincitore o sconfitto da questo (politicamente) folle mese di agosto. E il capo degli sconfitti, almeno per ora è indubbiamente lui, l’ex capitano, ex Ministro dell’Interno, ex golden boy della politica italiana: Matteo Salvini. Gli amanti del basket conoscono bene la così detta “sindrome della mano calda, una percezione soggettiva per cui, visto che gli ultimi tiri ti sono entrati tutti, anche il prossimo entrerà. Bene, Salvini si è fatto forse prendere proprio da questa idea di perfezione, verso cui peraltro numerosi commenti dei media e dei commentatori che dipingevano per geniale ogni operazione che portava avanti, lo hanno indotto. Non è certamente il primo. Senza scomodare ingombranti paragoni storici di un Napoleone caduto in Russia, o di un Hitler, caduto sempre in Russia (giuro, è andata così, non è un riferimento malizioso all’odierno Russia-gate, magari semplicemente andare in Russia porta male…), molto più banalmente era capitato anche all’altro Matteo, quello toscano del PD, che in un momento in cui pareva indovinarle (mediaticamente tutte) ha infilato alcuni errori che lo hanno portato a cadere. Ormai il messaggio “ha fatto una cavolata” sta passando anche le linee del Po, venendo ripetuto apertamente anche da leghisti di fede duratura e provata: del resto la storia politica ci insegna che nelle strutture in cui “comanda il Capo”, nessuno obietta forse, ma altrettanto vero è che la foto del “capo” al muro viene sostituita con altrettanta velocità, silenziosamente e velocemente. Rimangono ancora alcuni “irriducibili” che, più che in controtendenza si direbbe contro evidenza, non solo non parlano di errore, ma dicono che sia stata una manovra di alto valore strategico ideata dal “capitano”, presumibilmente in attesa che (e qui bisogna ricordare la scena epica del film “La caduta” ) le truppe diSteinerattacchino da nord e quelle diKesselringda sud, in una portentosa manovra a tenaglia, sbaragliando gli avversari. Certo, Salvini non è finito ed anzi si apre per lui un periodo che gli va particolarmente congeniale: fare opposizione mandando la discussione “in vacca”, cosa che potrebbe tranquillamente rianimarlo e tenerlo in vita fino alle prossime elezioni. Ma da qui a pensare che non abbia accusato il colpo dato dalla perdita dei ministeri, Viminale su tutti, dell’influenza sui media, RAI su tutti, oltre alla credibilità sui suoi, Giorgetti su tutti, ce ne corre. Dovrà adesso fare esperienza in una cosa che ha sempre denigrato e che in questo caso è stata la sua pecca maggiore: fare il parlamentare (d’opposizione) ed imparare come si fa politica dai banchi del Senato. L’altro sconfitto è inevitabilmente Di Maio: aveva legato le sue sorti a quelle di Salvini e non può che uscire fortemente ridimensionato da questa crisi. Non è mai apparso politicamente molto illuminato, non è una sorpresa per nessuno, ma in questi giorni ha mostrato spesso livelli di ingenuità difficilmente conciliabili con il “capo politico” della prima forza parlamentare. Non voleva l’accordo col PD 8che del resto non voleva nemmeno Zingaretti) e ha provato di tutto per farlo saltare, puntualmente anestetizzato, da Conte o da Grillo. Proprio il suo impuntarsi sul nome di Conte (peraltro divenuto fin dall’immediatezza dopo il discorso in Senato l’idolo dei 5 Stelle) ha costituito la corda con cui Di Maio verrà politicamente fatto fuori: per un po’ continueranno a chiamarlo “capo politico” ma non conterà nulla, le decisioni le prenderà Conte da un lato e un Di battista dall’altro per la minoranza interna. Poi, pian piano, senza clamore, verrà sostituito (anche qui di esempi storici di leader che hanno legato il proprio destino ad altri e ne hanno pagata la sconfitta ce ne sarebbero ma lasciamo perdere). Il PD torna a far parte di una alleanza di Governo e lo fa in condizioni mediaticamente estremamente complicate: per quanto non solo pienamente legittimo ma, se vogliamo anche più legittimo dell’accordo fatto a suo tempo fra 5 Stelle e Lega visto che ora si accordano la prima e la seconda forza parlamentare, il messaggio di basse che transita alla massa è immancabilmente quello dell’inciucio. Come ci insegna George Lakoff, purtroppo la verità non rende liberi e a poco varrà spiegare tutti i perché questa cosa sia, non solo formalmente, ma anche sostanzialmente sbagliata. L’unica reale possibilità che i Dem avranno di far cadere questa idea è mettere su un Governo che duri e che faccia bene. Piccolo problema. Questo governo non era voluto per primi dai due principali contraenti (Di Maio e Zingaretti) a cui solo le forti spinte esterne hanno impedito di far saltare tutto. Nasce peraltro in una congiuntura internazionale ed economica altamente instabile (basti pensare alle notizi che arrivano da Londra sulla brexit, Berlino sull’economia, o ancora la dialettica Washington-Pechino solo per fare alcuni esempi) e alla vigilia delle ennesime elezioni amministrative di rilievo (Romagna in primo piano). Insomma, invasione di cavallette a parte, ci sono tutte le premesse perché anche un Governo coeso e competente si trovi in discrete difficoltà. E questo (non potendo parlare di competenza non avendo l’elenco dei ministri) quantomeno è certamente un Governo tutt’altro che coeso, in cui l’impressione di fondo è che entrambe le parti sperino di fare all’altra ciò che la Lega ha fin qui fatto ai 5 Stelle. Non un quadro allettante, che andrebbe ulteriormente complicato dalle divisioni interne ai due partiti che comporranno la maggioranza (renziani, non renziani, ma anche Di battista, o Fico), alla necessità di coinvolgere partiti minori come LeU che, data la contingenza, faranno certamente pesare il proprio potere contrattuale, varie ed eventuali. Visto però che già così il tutto è deframmentato e complicato come un quadro impressionista, lasciamo perdere. Si potrebbe poi parlare di come il salto contro tempo di Salvini abbia rivitalizzato Berlusconi che, passato improvvisamente da leader finito di un partito in fuga verso la Lega, a forza parlamentare con numeri rispettabili il cui bersaglio reale (anche se non apertamente) sarà proprio ridimensionare il nemico interno rappresentato dal carroccio. Oppure si potrebbe dare una menzione d’onore, una sorta di “premio della critica”, per quel che vale, a Calenda che, in omaggio alla propria coerenza personale, ha deciso di lasciare il PD in ragione dell’accordo coi 5 Stelle pur sapendo che un ruolo nel governo se lo sarebbe potuto guadagnare. Il tutto però passa in secondo piano per quello che, forse, è l’unico vero punto politico del momento: o da questa situazione improbabile, per qualche combinazione fortunosa, verrà fuori un esecutivo valido, brillante e competente, in grado di fronteggiare sia la congiuntura che le bordate della propaganda Salivni-Meloni, oppure nel breve, medio tempo, ci troveremo di fronte nuovamente all’arrembaggio dei populisti e, questa volta, non ci sarà Mattarella che tenga per tenerci fuori la testa da questo mare.