UN LAVORO PRECARIO CON LE SEMBIANZE DI UN LAVORO FISSO

Il processo evolutivo nel mondo del lavoro parrebbe aver toccato i suoi massimi livelli negli anni che ci siamo lasciati alle spalle. Com’è noto, giunti all’apice, è ovvio aspettarsi una discesa verso il vertice inferiore, proprio come una sinusoide. Stando alle leggi, le riforme e le innovazioni, lo stravolgimento dei sistemi di controllo e di gestione del lavoro che si sono susseguiti nei tempi relativamente recenti è di facile costatazione che tale involuzione sia iniziata. A farne le spese del peggioramento delle condizioni lavorative non è certo la produttività o la produzione o eventuali oneri che il datore di lavoro dovesse disporre in favore della classe lavoratrice, chi paga lo scotto dell’armonizzazione della flessibilità e del paradosso intellettual-politico che permette di “lavorare meno e lavorare tutti” è l’operaio. Il lavoratore deve di volta in volta adattarsi alle esigenze del nuovo lavoro che, con lacoplicitàdellì’ultima riforma, gli viene sottoposto. Qualche anno fa’ abbiamo visto lo sgretolamento dell’Ufficio di Collocamento in ragione dell’istituzione dei Centri per l’Impiego; abbiamo visto la nascita di contratti che sembrano delle vecchie cantilene da bambini ma che in realtà sono sigle che indicano un sistema lavorativo che ha “derubato” i lavoratori dei diritti acquisiti con anni di lotta, i co.co.co, i co.co.pro, ecc… L’effetto della sovrabbondante profferta di manodopera non sempre necessariamente qualificata ha incrementato il divario tra lavoro e lavoretto, dove quest’ultimo sempre più spesso assume carattere di unicità reddituale senza tener conto se a svolgerlo sia il ragazzo che cerca un piccolo reddito, magari temporaneo o un padre di famiglia. Lavori che erano considerati di passaggio, oggi stanno diventando lavori fissi, hanno la caratteristica di non essere nemmeno considerati dai sindacati proprio per la loro precarietà, proprio per la funzione che almeno fino a qualche anno fa svolgevano, di copertura delle spese in attesa del conseguimento della laurea o in attesa di un vero posto di lavoro. Tra questi è il lavoro dirider(fattorino) che negli ultimi tempi ha visto l’interessamento dell’opinione pubblica, grazie alla causa indetta dai dipendenti italiani diFoodora. Dipendenti invisibili che vedi sfrecciare per le strade delle città europee su bici con annessi bauletti contenenti i cibi richiesti. Fanno parte di queste nuove aziende della gig economy, Foodora, Deliveroo, JustEat, ( per citarne alcune). Oggi questi lavori costringono giovani ad una vita di precariato e ancora più grave, queste aziende della gig economy, crescono nell’ordinamento del lavoro nazionale dei diversi Paesi in cui mettono radici, riconoscendo ai lavoratori diversi inquadramenti.Valerio De Stefanodocennte di diritto del lavoro all’università di Leuven in Belgio spiega: “Dalle sentenze e dalle decisioni prese nei diversi Paesi europei non viene fuori un orientamento unico. In Italia non c’è una particolare resistenza da parte delle autorità, anzi più in generale c’è una cultura che porta ad accettare determinati meccanismi di lavoro che non rispettano i diritti sociali”. inoltre, aggiunge De Stefano, “se anche questi lavoratori vengono qualificati come autonomi, non vuol dire che non necessitino di alcune tutele che oggi non hanno”. La decisione del tribunale di Torino che relega i rider di Foodora al semplice stato di collaboratori autonomi, permette all’azienda di continuare il rapporto di lavoro senza le dovute tutele quindi, non essendoci alcun rapporto di lavoro dipendente, non c’è obbligo di controllo su orari di lavoro e libertà da parte dei dipendenti di lasciare quando vogliono… né diritti, né doveri… Retribuiti a cottimo e senza tutele. Una sentenza che colloca l’Italia ad uno dei posti peggiori in cui esercitare il lavoro di rider. In alcuni Paesi Europei i fattorini sono stati riconosciuti come dipendenti, in altri sono autonomi ma le paghe sono più alte. In Italia c’è solo il tentativo dei sindacati di dare un inquadramento ai fattorini, inserendo nel nuovo contratto nazionale della logistica la figura del rider. Una sorta di ufficializzazione, almeno simbolica, dell’attività di questi lavoratori che teoricamente dà ai fattorini la possibilità di poter contrattare la loro condizione di lavoro ma in pratica la realtà è diversa: i rider italiani, oltre che ritrovarsi nel caos del traffico cittadino, si arrampicano e arrancano nel percorso contrattuale che cambia da piattaforma a piattaforma e di città in città. Dal pagamento a cottimo di 3,60 a consegna di Foodora alla paga oraria di Deliveroo (5,60 euro) con un rimborso differenziato per ogni consegna a seconda della città (1,50 a Milano, 0,80 a Torino), dai tre diversi contratti offerti da Just Eat, al “ranking fedeltà” dei rider messo a punto da Glovo. Tutti con una cosa in comune: inquadrati come lavoratori autonomi, senza salario minimo né tutele. A pochi giorni dalla sentenza del tribunale di Torino che respinge il riconoscimento dello stato di lavoratore dipendente a sei fattorini della società Foodora, i riders italiani hanno indetto un incontro a Bologna dove si è tenuta la prima assemblea nazionale. I riders sono giunti domenica 15 aprile da varie città con l’obiettivo di farsi conoscere e rivendicare i diritti principali di ogni altro lavoratore: ferie, malattia, incidenti, nonché una retribuzione dignitosa. All’assemblea erano presenti anche due dei sei fattorini del cibo a domicilio che avevano intentato una causa contro Foodora per l’interruzione del rapporto di lavoro arrivata in seguito alle mobilitazioni del 2016. I giovani lavoratori seppure costretti ad incassare il no del tribunale assicurano che questo “non sarà un freno alle prospettive”, queste nuove forme di lavoro nel nostro paese dovranno essere materia di interesse per il legislatore. Il mese scorso sotto l’egida del nuovo sindacato autonomo,Riders Union, si sono riuniti circa trecento collaboratori digitali delle principali piattaforme che operano a Bologna, da Deliveroo a Just Eat, questi lavoratori hanno aperto un tavolo di contrattazione con il Comune per l’ottenimento delle condizioni minime di tutela. E’ nata così la “Carta dei Diritti” dei ciclofattorini, dall’accordo tra Riders Union, sindacati ed amministrazione, è questo il primo documento in Italia dove vengono indicati i requisiti minimi, dalla sicurezza al trattamento economico ai quali le aziende dovranno attenersi se intenderanno operare in città. l’aspettativa di tutti è che ci sia l’intervento del Parlamento Europeo per la regolamentazionedell’economia dei lavoretti. Ci sono gia state mobilitazioni in più Paesi, in Europa queste hanno avuto atto in Spagna, Inghilterra, Francia ed Olanda ma anche ad Hong Kong ed in Australia. La materia è quindi d’interesse globale e le prime risposte si attendono dall’Europa. A inizio marzo è arrivata la decisione dal Belgio, la commissione amministrativa di regolamentazione e relazione del lavoro, ha stabilito che il rapporto tra un fattorino e Deliveroo non può essere definito come “lavoro autonomo”. Anche dalla Spagna l’ispettorato del lavoro di Valencia ha dichiarato che la qualifica di rider “nasconde in realtà un rapporto di lavoratore dipendente. Più deludente per i lavoratori la risposta che invece è giunta dall’Austria, la quale si è limitata a concedere ai lavoratori di Foodora il diritto alla costituzione di una rappresentanza sindacale in azienda. Dalla Germania dove i riders sono assunti come subordinati in base alla formula del mini-job (salario e tutele minime), non è giunta nessuna sentenza. Pareri contrari arrivano da Francia ed Australia dove però, in Francia resta l’inquadramento come lavoratore autonomo, ma con paghe più alte 7,50 euro l’ora, più 5,00 a consegna e in Australia è riconosciuto lo status di autonomi ai lavoratori di Uber. In Inghilterra la Central Arbitration Committee di Londra, decreta che i lavoratori di Deliveroo sono autonomi poichè hanno la possibilità di farsi sostituire senza il permesso dell’azienda. La nascita del nuovo sindacato Rider Union è la risposta alla conseguente distrazione consapevole e all’evidente disinteresse dei sindacati tradizionali che sembrerebbero in fondo poco sensibilizzati dal problema, come se la gestione dei “portapizze” fosse marginale agli effetti del mondo del Lavoro. Il ripiego ad un lavoro di poca soddisfazione e privo di tutele fondamentali è invece per molti l’unico appiglio per la garanzia di una sopravvivenza minima, ci si attenderebbe maggiore attenzione dai sindacati, dal ministero del Lavoro e da tutti gli organismi e le istituzioni dedite al controllo ed alla regolamentazione della materia. L’elemento che va considerato al di là della retribuzione e delle tutele è la condizione oggettiva che questi consegnatori di pasti su ruote, debbano affrontare, le avverse condizioni climatiche prima di tutto, il kit che si è obbligati adaffittarecon una cauzione di circa 80 euro a seconda dei casi, che comprende divisa e zainetto termico con logo dell’azienda, inoltre, viene proposta al lavoratore la possibilità di “un’escursione turistica” della propria città, poichè questo si troverà a fare consegne anche a cinque o dieci km dal ristorante. Il rider deve garantire la copertura di almeno 15km al giorno, ma per guadagnare un compenso un pò più decente si troverà ad affrontare una lunghezza di almeno 40 km… L’azienda permette al rider di farsi sostituire come se questa fosse una concessione, ma il lavoratore che dovesse optare per un’alternanza con un suo sostituto si troverà poi a dividerne i compensi! La mancata presenza ripetuta mette comunque il lavoratore nella condizione di non ricevere più chiamate dall’azienda… insomma, loggarsi in queste app che promuovono il facile lavoro, a detta dei più critici, è equiparabile ad un “caporalato” elettronico… Qualche giorno fa dal Salone del Libro di Torino, è arrivata una proposta del presidente dell’Inps,Tito Boeri:monitorare in tempo reale i pagamenti delle società per attivare un parametro pensionistico alla categoria dei riders. Boeri ha spiegato: “in altri Paesi compresa l’America, si sta cercando, fin’ora senza successo, di dare una regolamentazione alla gig economy”. inoltre ha aggiunto che servirebbe un’innovazione dalla stessa Inps: “anche noi dovremmo dotarci di una piattaforma per seguire i pagamenti dei riders, spingendo le società a pagare una quota al sistema pensionistico”. E’ bello e utile usufruire di un servizio di consegna del cibo a casa, ci permette la libertà e la bella figura con gli ospiti. Bisogna però sempre considerare che il semplice fattorino a cui apriamo la porta ha gli stessi diritti di qualsiasi altro lavoratore. E’ giusto allora pensare che dietro un basso costo per il servizio, c’è sempre il rovescio della medaglia che presenta una paga esigua per il lavoro prestato.