AMMINISTRATIVE E PD: QUEGLI ASTENUTI CI GUARDANO
 
        Le amministrative appena concluse rappresentano per i partiti l’ultima rilevazione utile prima del fondamentale appuntamento delle elezioni politiche, che si presenteranno al più tardi nel 2013. Quando si spegneranno gli ultimi tizzoni ardenti del dopo-regionali e si ricomincerà a ragionare lucidamente, dalle parti del Partrito democratico ci si renderà conto che sul campo non sono rimasti solo detriti. Al contrario, abbiamo di fronte elementi preziosi intorno ai quali avviare una profonda riflessione sui nostri orizzonti strategici e sui nostri riferimenti identitari.Ogni analisi parte dalla osservazione di dati oggettivi. E mai come questa volta i dati parlano da soli. Primo: si consolida la presenza di un partito che fa della contrapposizione territoriale la propria bandiera. Secondo: il metodo politico berlusconiano, fondato sul leaderismo populistico e personalistico e intriso anch’esso di conflitto, mostra le prime crepe, ma tutto sommato continua a dare i suoi frutti. Terzo, e più importante: oltre il trenta per cento degli italiani non va più a votare.Il fenomeno dell’astensionismo colpisce trasversalmente tutti i partiti e indica con chiarezza che la maggioranza relativa dei cittadini non si riconosce nel modello conflittuale e divisivo incarnato dal Pdl e dalla Lega. Certo, non si riconosce neppure nel Pd, che evidentemente non riesce a sintetizzare né a comunicare con sufficiente energia una visione alternativa. È proprio da qui che occorre cominciare a lavorare. Ben oltre la competizione tra forze politiche, la sfida vera sta oggi nel convincere queste persone ad andare alle urne. Per questo è necessario tornare a trasmettere con convinzione un sistema di valori radicalmente diverso rispetto a quello incarnato dalle forze della destra.Il Partito democratico sorge dall’unione di culture progressiste diverse, e proprio per questo nasce con l’ambizione di parlare a tutti. Riscoprire e valorizzare questa ricchezza vuol dire porsi sulla scena politica da protagonisti. Occorre dunque tornare con coraggio a quella vocazione maggioritaria che ha animato i primi momenti di vita del Pd. Non significa tornare indietro. Il congresso è alle spalle e la leadership consolidata. Ma bisogna guardare con occhi nuovi e con un respiro più ampio le sfide riformiste che abbiamo di fronte. Non vuol dire neppure fare a meno delle alleanze. Ma capire che il partito deve essere un polo di attrazione e aggregazione e non un semplice azionista di maggioranza in coalizioni fabbricate a tavolino.Sul piano dei principi siamo chiamati a riappropriarci delle battaglie che ci appartengono e che negli ultimi anni sono state appannate da una patina di fredda autoreferenzialità. In un Paese che perde coesione e senso di appartenenza alle istituzioni, l’unità nazionale non può che essere il primo riferimento valoriale. La dimensione idealistica del Partito deve tornare ad essere quella di un patriottismo progressista, nel solco dell’esempio di grandi Presidenti come Pertini, Ciampi e Napolitano. Il partito deve far propri e incarnare quei valori di fratellanza e solidarietà nazionale che, come ha rilevato il Capo dello Stato, appaiono da anni sotto l’attacco di una “deriva di vecchi e nuovi luoghi comuni, di umori negativi e di calcoli di parte”. Partendo da questi principi, deve mettere al centro della propria azione politica il sostegno delle fasce e delle zone deboli deboli. Fare dell’unità d’Italia la propria bandiera e dello sviluppo delle fasce deboli una battaglia nazionale non è solo un doveroso ancoraggio alla tradizione sociale che accomuna la nostra provenienza, ma rappresenta l’unico antidoto allo strapotere della Lega a Nord e allo scoraggiamento e al senso di abbandono che pervadono i cittadini meridionali.Il principio del solidarismo e quello redistributivo richiamano infine l’urgenza di intraprendere una ricerca più ampia sui limiti mostrati dell’approccio neo-liberista. E sulla necessità di pervenire al più presto a nuovi modelli di sviluppo basati sulla rivalutazione del sostegno pubblico e dell’apporto della società sociale. È un tema complesso, reso improcrastinabile dalla crisi in cui il Paese è ancora immerso, che impone lo studio di nuove forme di democrazia economica capaci di ridefinire i rapporti tra società, forze del lavoro e capitale. Il compito è oggettivamente arduo, ma è certamente alla portata di un partito che eredita la propria cultura dalla più alta tradizione sociale novecentesca. Un patrimonio unico, che va riscoperto, integrato e modulato sulle esigenze del mondo di oggi.Il Pd deve ricominciare a coltivare l’ambizione di parlare a tutti e di rappresentare l’unità del campo progressista. Deve riuscire a far sue parole come patriottismo, lavoro e democrazia economica. Deve porsi come apripista di una nuova riflessione sul rapporto tra capitalismo e sviluppo. Deve riuscire a comunicare il concetto che la crescita di tutto il Paese passa attraverso il riscatto di chi sta peggio. Solo se riuscirà ad intestarsi tutte queste battaglie, potrà vincere. È ora di rimboccarsi le maniche ed avviare questa stagione di ricerca appassionante e non più rinviabile.
