COLOMBIA: LOCKDOWN A OROLOGERIA E PROVE GENERALI DI DITTATURA

COLOMBIA: LOCKDOWN A OROLOGERIA E PROVE GENERALI DI DITTATURA

La sensazione, nelle strade di Bogotà come nelle città di frontiera, è quella di vivere il lockdown chiusi in una polveriera. In un paese, la Colombia, dove la violenza istituzionale è cronaca quotidiana, dove gran parte della popolazione vive di economia informale, dove la sanità è privatizzata e incapace di far fronte alla pandemia. “Le nostre cliniche assomigliano ad agenzie viaggi. L’ultimo, per la precisione” è la battuta che circola nel paese.Non a caso, è proprio la Colombia uno dei paesi sudamericani dove, a novembre 2019, la popolazione è insorta contro le politiche neoliberiste e autoritarie del governo di Iván Duque (www.alganews.it/2019/11/23/sudamerica-in-lotta-londata-delle-proteste-arriva-in-colombia/). Gli altri due sono Cile ed Ecuador, mentre il Brasile non ha smesso di protestare dalle elezioni di Jair Bolsonaro. E non a caso, proprio Ecuador e Brasile sono i paesi messi in ginocchio dal Covid-19 (www.alganews.it/2020/04/16/ecuador-la-citta-di-guayaquil-focolaio-del-covid-19-sanita-al-collasso/).“Le marce e gli scioperi” ricorda Andrés Pedraza Tabares, comunicatore sociale e regista “sono stati il risultato di un malcontento generalizzato per il malgoverno delCentro democrático, il partito del presidente Iván Duque (https://www.alganews.it/2018/06/05/elezioni-in-colombia-calma-apparente-aspettando-il-ballottaggio/), a sua volta manovrato dall’ex presidente Álvaro Uribe Vélez. Le manifestazioni raccoglievano proteste contro le riforme del mercato del lavoro, che colpivano soprattutto i giovani, e le riforme previdenziali, contro l’assassinio di leader sociali ed ex combattenti delle Farc, a fronte del mancato rispetto degli accordi di pace del 2016” (https://www.alganews.it/2017/09/03/colombia-ex-guerriglieri-farc-parlamento-gli-accordi-pace/). A tutto questo si aggiungeva il reclamo per sanità, scuola, diritti delle donne, ambiente. “Nelle proteste abbiamo visto di tutto, manifestazioni pacifiche e violente, per la maggior parte spontanee”, ricorda Pedraza. “Da parte dello Stato c’è stata una risposta repressiva, con arresti arbitrari, attacchi e vere e proprie esecuzioni da parte delle squadre speciali della polizia”.Le proteste si erano già indebolite all’inizio del 2020. “Era nato un comitato nazionale per rappresentare tutte le forze impegnate nella protesta”, dice Pedraza. “Però si sono generate molte tensioni interne, nel tentativo di metterlo al riparo dalle strumentalizzazioni di diversi partiti politici. Tuttavia il comitato era riuscito a produrre una serie articolata di richieste, 120 per la precisione, articolate intorno a 13 assi tematici”. Si andava dal diritto a protestare pacificamente al lavoro non precarizzato, dalla sanità pubblica alla nazionalizzazione delle imprese petrolifere, dalla spesa dello Stato in cultura a norme anticorruzione, dall’attuazione degli accordi di pace del 2016 (che il governo non rispetta) alle politiche ambientali. “Già in dicembre, malgrado le aspettative, stava subentrando la stanchezza” dice Pedraza. La mancata risposta del governo e le vacanze di Natale hanno indotto a rimandare nuove iniziative al 2020. L’epidemia ha fatto il resto.La quarantena è stata decisa con solo 50 casi diagnosticati, il 22 marzo (e sarà in vigore fino all’11 maggio). Una decisione presa dal governo, tra molte critiche, dopo aver visto l’esperienza europea e nella consapevolezza della fragilità del sistema sanitario del paese. Secondo i dati ufficiali dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), gli infettati totali sono 4881, 225 i morti e 1003 i guariti.La tensione, in aumento nel paese, è legata all’elevato grado di economia informale in Colombia. Chiudere in casa il 40-50 per cento della popolazione che vive alla giornata, o che smette di percepire reddito da un giorno all’altro senza avere da parte alcun risparmio, equivale a caricare una bomba a orologeria. Non ci sono solo  le famiglie che vivono in strada, ma tutte quelle che riescono a pagare appena affitto e studi ai figli lavorando come venditori ambulanti o in nero.Le misure annunciate dal governo per mitigare il rischio di una crisi sociale – che darebbe il via a  saccheggi e qualche barricata – sembrano più che altro un discorso per tranquillizzare la classe medio-alta di fronte alla paura di essere vittima dei poveri.A complicare ulteriormente le cose c’è la presenza, nelle zone di frontiera, degli immigrati irregolari venezuelani, che non avrebbero diritto neanche alle misure minime annunciate per i meno abbienti. Tanto che circa 5000 persone da tutto il paese stanno tornando in Venezuela e si sono accalcate da un lato o dall’altro della frontiera.“Ci sono stati in effetti saccheggi ai supermercati e proteste a cui lo Stato ha riposto con violenza”, dice Pedraza Tabares. “Questa crisi ha mascherato situazioni critiche che venivano da prima”. Per esempio, l’assassinio di leader sociali ed ex combattenti delle Farc, le formazioni di guerriglia con cui nel 2016 è stato firmato un trattato di pace che lo Stato continua a non rispettare. “È aumentata la violenza domestica”, continua Pedraza. “L’accesso ai servizi sanitari si è indebolito e settori economici come quello culturale e artistico sono in profonda crisi, considerando che già avevano problemi legati alla precarizzazione del lavoro”.Che succede in uno stato repressivo quando si adottano misure d’emergenza? Diciamo che sono il sogno di ogni governo autoritario, perché se non c’è gente per strada, non c’è gente che vede e denuncia. Ma che trattamento ricevono i senza tetto? Che succede nelle zone dove il conflitto armato interno (malgrado gli accordi di pace del 2016) si è intensificato e non c’è nemmeno la possibilità di inviare o ricevere un Sms? Persino la sindaca progressista della capitale Bogotá, dopo annunci e discorsi che hanno raccolto molti consensi, ha mandato la polizia neibarrios(quartieri) poveri, a reprimere i manifestantiche reclamavano gli aiuti promessi.Il 22 marzo scorso si è usata la linea dura nel carcere di Bogotà, con 23 morti e oltre 80 feriti, per reprimere una protesta legata all’epidemia. Le organizzazioni di prigionieri politici sono riuscite però a far valere qualche diritto, soprattutto relativo al non affollamento per evitare i contagi, ma il risultato pratico è stato uno scarno decreto che non beneficia quasi nessuno. Tanto che nell’ultima settimana sono esplosi i numeri di contagiati in prigione.Di fronte all’emergenza l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), una formazione di guerriglia vicina alle Farc che però non è rientrata nel trattato del 2016,  ha proclamato la tregua unilaterale per tutto il mese di aprile. Si spera che questo gesto e la liberazione di vari sequestrati nelle ultime settimane spingano il governo a sedersi di nuovo al tavolo delle trattative dell’Habana, che aveva lasciato a gennaio 2018.Nelle zone rurali, dove il conflitto continua e dove si coltiva la foglia di coca, l’esercito ha approfittato della pandemia e del cessate il fuoco per distruggere le piante di coca (spesso unica fonte di sussistenza delle famiglie e non necessariamente destinate al narcotraffico) rafforzare il proprio controllo territoriale. In due settimane sono stati assassinati dall’esercito due contadini che protestavano contro  le distruzioni delle piante e si sono registrati altri abusi.Da quando è stato eletto Iván Duque, nel 2018, il governo si è mostrato reticente nell’applicazione degli accordi di pace. “Le Farc ne frattempo si sono riconfigurate come partito polititico” dice Pedraza Tabares. DaFuerzas Armadas Revolucionarias de Colombiasono diventateFuerza Alternativa Revolucionaria del Común. Hanno provato a mantenersi leali all’accordo, ma loro stesse patiscono un processo di frammentazione (www.alganews.it/2019/09/01/colombia-guerrigliero-farc-annuncia-ripresa-della-lotta-armata/). “Si sono formati sottogruppi” continua Pedraza Tabares “che non si sentono rappresentati da quelli che oggi siedono in parlamento. Molti di loro si sentono minacciati e vulnerabili, traditi dagli accordi di pace, da un’organizzazione che ha perso i suoi ideali. Personalmente ritengo che la responsabilità principale cada sul governo, sulla sua reticenza ad applicare le garanzie previste dagli accordi”.