GLI OSPITI IN QUARANTENA DELL’HOTEL MICHELANGELO A MILANO
L’anno scorso era il tempo di libri, oggi? mi chiamano da tantissimi condomini: “la mia vicina lavora in ospedale, se tocco il pulsante dell’ascensore che ha toccato lei?”. guanti. mascherine. visiere. protezioni. confini. spero non diventi mai il tempo della paura dell’altro. ******«Se potesse venire a visitarmi lei…». Stanza al diciassettesimo piano dell’hotel Michelangelo, vista sulla stazione Centrale. Un uomo di 43 anni chiama molte volte il suo medico di base. Non è l’unico. È in ansia. Dimesso dal Sacco qualche giorno fa è ancora infettivo e scosso dall’esperienza dell’ossigenoterapia e dell’assenza di contatti con i familiari. L’albergo, riservato a chi è in quarantena, non prevede una cura assistenziale continuativa anche se ieri l’Ats, per fare fronte alle fragilità sempre più evidenti, ha attivato un servizio telefonico di supporto psicologico. Per il resto un gruppo di «tecnici» di varia provenienza è incaricato di misurare i parametri (saturazione, temperatura, pressione) e dodici medici volontari a turno, per qualche ora al giorno, monitorano il decorso visionando quei numeri: se ci sono problemi, fanno riferimento agli stessi ospedali. «Negli ultimi giorni i nostri ospiti sono aumentati molto», dice Giorgio Ciconali, coordinatore per conto di Ats. Di fatto lo spazio vuoto è ancora parecchio: 203 stanze occupate su 306 dell’albergo. «Settimana prossima arriveremo al tutto esaurito e presto faremo uso anche delle 54 camere nella palazzina militare di Linate perché gli ospedali, con i tamponi, dimettono più persone». All’inizio gli ospiti del Michelangelo appartenevano soprattutto alle forze dell’ordine (erano quindi inviati dalla prefettura) ma ora il rapporto si è ribaltato, continua Ciconali. Trenta sono militari o poliziotti, altri trenta casi segnalati dal Comune (senzatetto o migranti delle comunità), 140 quelli inviati dall’Ats. La domanda resta, però. Ci sono migliaia di persone che avrebbero bisogno di spazi isolati per la quarantena (secondo la società Intwig i contagiati a Milano sono più di 135 mila considerando i sommersi ai «domiciliari», quasi quindici volte le cifre ufficiali). Il Comune peraltro aveva selezionato anche altre 15 strutture alberghiere che restano inutilizzate. «È uno spreco. Gli amministratori di palazzo che hanno la visione sul territorio non potrebbero aiutare a riempire questi spazi d’hotel?», commenta Mario Tosi, anziano portavoce di un gruppo di residenti di via Valvassori Peroni che racconta una storia piuttosto estrema. «Da noi c’è una famiglia perbene. Vivono in sei dentro un bilocale di 40 metri quadrati, lei lavora in una Rsa divenuta focolaio di contagio. Il sovraffollamento è stato accertato nero su bianco qualche mese fa anche da Ats – spiega -. La sera, essendo lo spazio in casa così angusto, stanno sulle scale a telefonare, mangiare o fumare, peraltro senza mascherine. Sarebbe una beffa per noi ammalarci nell’edificio dove siamo rinchiusi dal 24 febbraio, con ogni precauzione. Per loro non c’è soluzione?». Spezzare la catena di contagi è cruciale. Altro capitolo sono i medici e gli infermieri che lavorano in prima linea e non vogliono contagiare i familiari. Gli operatori di affitti brevi avevano messo a disposizione gratuitamente per loro seicento case. Di queste, sono state riempite circa quattrocento. «Stiamo continuando a contattare direttamente anche le direzioni degli ospedali per riuscire e fornire un servizio utile», dice Marco Celani, ad di Italianway. E Nicola di Campli di Guesthero: «Abbiamo accolto 85 persone, sui cento posti che abbiamo recuperato. Non ci fermiamo».
