PLAYLIST RAGIONATA PER FESTEGGIARE IL 25 APRILE

PLAYLIST RAGIONATA PER FESTEGGIARE IL 25 APRILE

Festeggiato fin dal 1946, festa nazionale dal 1949, è il 25 aprile – e non il 2 maggio – la festa della Liberazione: perché si volle celebrare l’Italia insorta, e non l’Italia imbelle; l’Italia che si liberava, e non l’Italia che veniva liberata. E certo che, senza Alleati, i partigiani e le Forze Armate italiane non avrebbero mai potuto farcela. Ma conta quello che resta: l’Italia insorse, a differenza di quanto fecero Giappone e Germania. C’era un’Italia diversa. Non era la maggioranza? Ancora meglio, ancora più coraggiosa la scelta, ancora più luminoso l’esempio, ancora più grande la vittoria. Che – vale la pena ripeterlo – fu a beneficio di tutti, perfino di quelli che quel giorno ancora combattevano contro. Ed è la sua grandezza. Per celebrare al meglio la ricorrenza, fin dalla serata di oggi, vi suggerisco una playlist ragionata. Una top 10, più qualche fuori classifica. Non esistono notti eterne. Aspettiamo l’alba. Cioè più o meno quando avrete finito di leggere sta pippa lunghissima. Poi però – siccome Facebook ormai è un social per noi vecchi – fate tipo un post su Instagram, una playlist su Youtube, roba così. E fatela sentire ai vostri figli. A rotella. *****************************10. Pietà l’è morta, Nuto RevelliMuore in montagna un partigiano, e sottoterra trova un Alpino caduto in Russia. Resistenza e forze armate, unite nella lotta che è antifascista, ma anche nazionale: «Tedeschi e fascisti, fuori d’Italia!». E altro che le balle e le facili ironie sul “coraggio degli italiani”, altro che “italiano vigliacco” o voltagabbana: «Che Dio maledica quell’alleato, chi ci ha tradito, lasciandoci sul Don e poi è fuggito». Questa canzone è interessante anche perché testimonia l’odio antitedesco tra i reduci della guerra in Russia, o per lo meno il tentativo del campo antifascista di scatenarlo. *****************************9. La BadoglieideLa caduta del Regime non chiude certo i conti con l’altro pilastro dello Stato fascista: la monarchia. E che nessuno creda di potersi ricostruire una verginità all’ombra di Casa Savoia, dopo aver goduto di tutti i privilegi garantiti dal fascismo. Anche perché «Gli squadristi li hai richiamati, gli antifascisti li hai messi in galera, la camicia non era più nera, ma il fascismo restava il padron». *****************************8. La pianura dei sette fratelli, GangVi piacciono i Gang? Sì, no, parliamone. Ma questa canzone è veramente incredibile. Dipinge una scena dopo l’altra, e tu questi sette fratelli Cervi te li vedi davanti, «il passo a tempo di chi sa ballare», le «mani grandi da contadini». «Sette fratelli sette, di pane e miele, a chi li do? Non li darò alla guerra, all’uomo nero non li darò». E invece arrivano gli squadristi («non c’è perdono per quella notte»). Ma non temete, ci dice la pianura: «I figli di Alcide non sono mai morti». *****************************7. La fabbrica, Stormy SixIn “Un biglietto del tram”, questa arriva subito dopo Stalingrado. Gli operai, galvanizzati dalla vittoria («La croce uncinata lo sa, d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città»), organizzano il primo sciopero bellico in Italia. Poche immagini sono più potenti della frase «Le grandi promesse, la patria, l’Impero, sempre più donne vestite di nero, allarmi che suonano, in macerie le città». Citatela a quelli che «ha fatto anche cose buone». *****************************6. Ma mi, Giorgio Strehler«Mi parli no!», chiude questo racconto – pare autobiografico – firmato Giorgio Strehler. La cosa più difficile da immaginare, la resistenza a oltranza a interrogatori e torture per non tradire i compagni: «la libertà la var ‘na spiada», si dice l’arrestato mentre da solo, in cella, soffre per le botte e sente scorrere sotto le finestre «frecass e vita del me Milan» («Il rumore e la vita della mia Milano»). «Ma mi sont de quei che parlen no». Un nuovo Amatore Sciesa («Tiremm innanz»), simbolo della Milano profonda, popolare, medaglia d’oro per la Resistenza, cuore dell’insurrezione. *****************************5. 25 aprile 1945, Gigi Lunari (due versioni: i Gufi e Milva)Sul finire de La Grande Guerra di Monicelli Iacovacci guarda il figlio di Costantina: «Beato lui che è der 17, non dovrà mai combattere una guerra». L’ironia amara è che sarebbe stata la leva più richiamata della storia d’Italia: dall’Abissinia all’Albania, poi Grecia, Russia, Francia, Egitto… «Non maledire questo nostro tempo, non invidiare chi nascerà domani», scrive Lunari. «Anche dopo il più freddo degli inverni ritorna sempre la dolce primavera»; «Vogliamo un mondo in cui chi uccide è un assassino, anche se uccide in nome della pace». *****************************4. Bella ciaoIl più classico dei classici, una sorta di “inno nazionale della Resistenza”, famoso in tutto il mondo, cantato dal Coro dell’Armata Rossa come da Maître Gims (ho sentimenti contrastanti sul remix). Forse troppo. E delle tre componenti della guerra partigiana individuate da Pavone (liberazione nazionale, guerra civile, guerra di classe) ne racconta una sola. Poi non so, quel partigiano che di fatto si limita a partire e a morire… È come se mancasse un pezzo. Però la melodia l’abbiamo tutti nell’orecchio, e quando si riesce a farla partire in coro (potente, convinto, non a lagna) scalda sempre. *****************************3. E io ero Sandokan, Armando TrovajoliVoce angelica, strumentale semplice, inizio in medias res: «Marciavamo con l’anima in spalla, nelle tenebre lassù. Ma la lotta per la nostra libertà il cammino c’illuminerà». E poi la conclusione, quella notte che finisce di colpo, il sole che sorge nella libertà. La Resistenza al gran completo, «Eravam tutti pronti a morire, ma della morte noi mai parlavam: parlavamo del futuro». Una Resistenza che poi tornerà a dividersi, «se il destino ci allontana». Ma «il ricordo di quei giorni sempre uniti ci terrà». Una lezione fondamentale anche oggi. E se vi dimenticate la morale del film cui fece da colonna sonora (C’eravamo tanto amati) perde anche quella nota un po’ malinconica che assume nella celebre scena davanti alla scuola. *****************************2. Fischia il ventoSì, lo so, “sei un comunista demmerda”. E però Katyuša è una base della madonna, la canzone è potente, marziale. Si può cantare in coro o in solitaria, con fare da tenore o sussurrata, con le schitarrate elettriche o con la fisarmonica, non cambia mai. E c’è pure il lieto fine: «Cessa il vento, calma è la bufera, torna a casa il fiero partigian». Per tornare sulla triade di Pavone, qui ne copriamo tre su tre. E sinceramente mi pare la più completa, del canzoniere “classico”. A conquistare la rossa primavera. *****************************1. Oltre il ponte, CantacronacheSergio Liberovici e Italo Calvino. Due de passaggio, proprio. Questa non è solo la mia canzone preferita sulla Resistenza, ma addirittura (nella sua versione dei Modena City Ramblers) la mia preferita in assoluto. «Avevamo vent’anni e oltre il ponte, oltre il ponte ch’è in mano nemica, vedevamo l’altra riva, la vita: tutto il bene del mondo oltre il ponte». Non c’è altro da dire su tutta questa storia, oggi, a quasi ottant’anni dai fatti. Inutile oggi ricordarci che magari tra quelli “di là” poteva esserci pure qualcuno “in buona fede”, perché oggi i vissuti sono superati. Resta solo l’esempio, e restano i valori che su quelle gambe camminavano. E quelli, mi dispiace, sono non negoziabili e indifferenti alla pietà umana.L’inizio dice già tutto: «O ragazza dalle guance di pesca, o ragazza dalle guance d’aurora, io spero che a narrarti riesca la mia vita, all’età che tu hai ora». Come fartela capire?Era il 1959, e già allora si pensava che tutto quello sforzo, quel coraggio, quella fatica fossero destinati a scomparire: «Oramai tutti han famiglia, hanno figli che non sanno la storia di ieri». E c’era, già allora, un’unica cosa da difendere: «Vorrei che quei nostri pensieri, quelle nostre speranze di allora, rivivessero in quel che tu speri, o ragazza color dell’aurora». E ve lo giuro, ho avuto i brividi anche solo scrivendo il testo. *****************************– Le storie di ieri, Francesco De GregoriIn “Rimmel” (1975) c’è una delle canzoni più politiche di De Gregori, una denuncia contro il neofascismo che prima riconosce la base di consenso del regime («Mio padre ha una storia comune, condivisa dalla sua generazione»), poi racconta il fallimento totale del fascismo («La mascella al cortile parlava, troppi morti lo hanno smentito, tutta gente che aveva capito. (…) E i cavalli a Salò sono morti di noia, a giocare col nero perdi sempre»). Poi, l’ironia su chi cerca di rivalutare ciò che non può essere rivalutato: «Mussolini ha scritto anche poesie, i poeti che brutte creature, ogni volta che parlano è una truffa». *****************************– Fascisti in doppiopetto, Assalti frontali«Anni difficili davanti, per tutti i figli di Di Nanni. Sono un partigiano e sarò chiaro, perché ci si abitua a tutto, anche ai fascisti. Assassini sullo sfondo, doppiopetto in primo piano». Musicalmente non sarà indimenticabile, ma la canzone è – venticinque anni dopo – ancora attuale. Oggi si mettono le felpe, giocano a fare il popolo vs le élites, ma lo schema è lo stesso. Nascondere il passato per riprendersi il futuro. *****************************– Mi padre è morto partigiano, Roberto LericiÈ una poesia, in realtà, non una canzone, e per questo va tra i bonus; è diventata famosa dopo essere stata inserita in “A me gli occhi, please” di Gigi Proietti. Tenera, delicata, normale. Niente eroi, o meglio sì: ma eroi normali, «a diciott’anni fucilato ner Nord, manco so dove». E sarà che aveva diciott’anni («Sei ragazzo, papà»), sarà che «sulla faccia ciaveva un gran soriso che spanneva na luce come un cero», sarà che «giocava nella Roma primavera». Co sto ragazzo avrei voluto parlare anche io. «Che n’hai fatto – chiede al figlio – della vita che t’ho dato giocanno co la mia? Vojo sape’: sto monno l’hai cambiato? Sto gran paese l’avete trasformato? L’omo novo è nato o nun è nato?». No, non è nato. Scusa. *****************************– Portiamo l’Italia nel cuore, CantacronacheSull’Inno a Oberdan i due partigiani della Garibaldi biellese Ortona e Banchieri scrissero questo testo che non esito a definire eccellente. Peccato che non ricordi incisioni successive a quella per Cantacronache. Peccato perché secondo me si presterebbe a una reinterpretazione più moderna e soprattutto meriterebbe maggior fama. Inserita anche perché copre il “Secondo Risorgimento”: «Morte a Franz, viva Oberdan!» diventa «A morte il fascio repubblican, a morte il fascio siam partigian». «Portiamo l’Italia nel cuore, abbiamo il moschetto alla mano, a morte il tedesco invasore, ché noi vogliamo la libertà». Non da Top 10 perché l’incisione è ormai purtroppo superata. Se avete contatti con una band valida, vi prego, ditegli di inciderla. *****************************Se siete arrivati fino a qua, probabilmente è già il 25 aprile. E allora auguri a tutti. Buona Liberazione.