TRUMP E PUTIN, DUE PRESIDENTI “QUASI” AMICI

Dal 1989 a oggi la politica estera Usa è vissuta sulla teoria della “esportazione della democrazia”che fu formulata dal presidenteGeorge Bush seniorsubito dopo il crollo del Muro di Berlino, per essere poi replicata daBill Clinton, George Bush junioreBarack Obama. Si capisce bene che un Paese che, come gli Usa, ha un debito pubblico di 20 mila miliardi di dollari, voglia garantirsi il controllo politico della massima parte del pianeta, con relative risorse naturali e finanziarie.Il problema è che ormai questo sistema si è inceppato. Niente “esportazione della democrazia” in Egitto, anche se Obama appoggiava i Fratelli musulmani. Niente in Ucraina, dove la Russia è intervenuta dopo il colpo di Stato che ha detronizzato il suo protetto Yanukovich. Niente in Siria, dove Bashar al-Assad è rimasto più o meno in sella. L’onda di sfiducia rispetto a questa politica, oltre che l’insoddisfazione economica della borghesia Usa impoverita dalla crisi del 2008, ha messo le ali a Trump. Il quale, almeno negli annunci, vuol rovesciare l’equazione: sarà il benessere dell’americano medio, altrimenti definito “economia”, a guidare la politica. Quindi meno impegni militari (Linda Blaimes, economista di Harvard, ha calcolato che le guerre in Afghanistan e in Iraq costeranno ai contribuenti Usa tra i quattromila e i seimila miliardi di dollari) ma più grinta nelle relazioni commerciali. Ecco perché Trump non vuole il Ttip (il trattato tra Usa e Ue, con la Ue già ora in attivo sugli Usa di circa 100 miliardi di euro l’anno), vuole ridiscutere le relazioni commerciali con la Cina (che nel 2016 ha esportato negli Usa merci per 44,1 miliardi di dollari in più di quante ne abbia importate) e critica il Nafta (il trattato di libero scambio tra Messico, Usa e Canada). Trump e Putin, quindi, potranno anche decidere di bombardare insieme l’Isis o di mettere una pezza alla crisi in Ucraina,ma alla fin fine sarà il gioco degli interessi a decidere il loro tasso di amicizia.