NERUDA AVVELENATO DAL REGIME
11 settembre 1973. Navi della Marina militare cilena raggiungono il porto di Valparaíso, sull’Oceano Pacifico. L’ammiraglio Raúl Montero Cornejo, comandante della Marina e fedele al presidente Allende, viene imprigionato e sostituito da José Toribio Merino Castro, uno degli ideatori del colpo di stato. Il Prefetto della Provincia di Valparaíso informa subito delle manovre della Marina il presidente Allende, che dà ordine alla scorta di lasciare la sua residenza di calle Tomás Moro per raggiungere il palazzo presidenziale, La Moneda, nella capitale Santiago.A Santiago le forze aeree e i carri armati dell’esercito hanno già portato a termine la cosiddetta “Operazione silenzio”: chiudere e bombardare le sedi e le antenne di tutte le stazioni radio e tv. L’unica che quel giorno riesce a non interrompere le trasmissioni è la radio Magallanes del Partito comunista cileno. Allende raggiunge i locali della radio e da lì parla alla nazione per l’ultima volta. Intanto le forze armate dichiarano di aver preso il controllo sul paese. Allende rifiuta di dare le proprie dimissioni, come gli viene chiesto dai golpisti, ma questa decisione gli costerà cara. I militari ribelli circondano con i carri armati il palazzo presidenziale e gli aerei militari iniziano a bombardarlo. Poche ore dopo è tutto finito. Alla guida del paese si insedia il generale Augusto Pinochet. All’interno del palazzo della Moneda ci sono i corpi di due persone, il giornalista Augusto Olivares e il presidente Allende, probabilmente suicidatosi con due colpi d’arma da fuoco sparati con un fucile che teneva in mezzo alle gambe. Intanto Pablo Neruda, chiuso nella Chascona, la sua casa di Santiago, assiste attonito al crollo della democrazia nel Paese. Non sa ancora che proprio in quella casa stanno per avere inizio una serie di perquisizioni ordinate dallo stesso Pinochet e mirate a distruggere il morale del poeta. Al culmine di quella tortura, Neruda deciderà di espatriare in Messico, ma improvvisamente si aggraverà e verrà ricoverato in una clinica di Santiago il 19 settembre. Morirà quattro giorni dopo, ufficialmente per un cancro alla prostata. Una morte improvvisa, originata da un male noto da tempo, ma che solleva subito molti dubbi. I primi sono originati dalla testimonianza del suo autista e guardia del corpo che sostiene che il poeta fosse stato assassinato per volontà di Pinochet nella clinica Santa Maria a Santiago mediante una misteriosa iniezione. Neruda, sostiene, era consapevole di essere sotto stretto tiro di quelli che lui stesso nell’ultima poesia scritta forse il giorno prima della morte definisce satrapi… Pinochet, Richard Nixon e altri politici come Frei Montalva e il dittatore uruguaiano Juan María Bordaberry. I suoi versi ne facevano ormai un bersaglio mobile, un simbolo estremamente pericoloso. Non a caso il suo funerale fu uno dei primissimi momenti di opposizione alla dittatura, poiché avvenne nonostante la presenza ostile e intimidatoria dei militari a mitra spianato che guardavano a vista i partecipanti, come testimonia un filmato clandestino girato all’epoca.Si era appena consumato l’ultimo sfregio nei confronti di Neruda, compiuto mentre ancora giaceva nel letto d’ospedale: la devastazione, sempre per ordine di Pinochet, delle sue proprietà. Anche per questo nessuno crede alla tesi proclamata dai medici subito dopo la morte del poeta. Una diagnosi post mortem che parlava di «cachessia e insufficienza cardiaca», sostanzialmente uno stato di indebolimento generale dell’organismo prodotto dalla lunga malattia. Così comincia a farsi strada una «verità» clandestina che vuole l’avvelenamento da parte dei militari quale causa principe della morte del poeta. Questa tesi ha portato all’apertura di un processo con l’esumazione della salma del poeta nel 2013. Sia l’autista di Neruda, Manuel Arraya, che la terza moglie Matilde Urrutia, oltre a una infermiera della clinica testimoniarono riferendo di una misteriosa iniezione fatta al premio Nobel. Alla fine dell’inchiesta arrivò però la doccia fredda. I medici legali non rintracciarono tracce di sostanze tossiche nel corpo, mentre le metastasi tumorali erano abbondanti. I parenti di Neruda e il partito comunista cileno chiesero comunque un supplemento di inchiesta e da allora si sono susseguiti diversi team scientifici che in effetti hanno iniziato a riscontrare diverse anomalie, come la presenza di alcune proteine sospette nelle ossa. E ieri finalmente il team internazionale di scienziati a cui è stata affidata l’ultima parola ha dato il suo responso. La prima certezza che si può affermare è proprio l’invalidità del certificato di morte. Insomma, il tumore non è la causa di morte e nemmeno l’indebolimento. Nei tessuti, infatti, è stata rilevata una presenza anomala di batteri patogeni compatibile con il rapido aggravamento delle condizioni del poeta. Batteri che, vista l’alta concentrazione, potrebbero esser stati anche coltivati in laboratorio, secondo gli esperti. Ma per capire se si tratta di batteri riprodotti in vitro ci vorranno altri sei mesi di indagini. E così, il destino del più grande poeta latino-americano di tutti i tempi è ancora una volta appeso al filo di un giudizio medico. Un giudizio che lo consegnerebbe definitivamente alla storia come il martire del golpe cileno alla pari dell’amico Allende. Anche se i suoi versi voleranno comunque, sempre alti, sopra ogni possibile giudizio umano, come ci ricorda lo stesso Neruda… Amici, questo è ciò che voglio.E’ quasi nulla e quasi tutto. Ho vissuto tanto che un giornodovrete per forza dimenticarmi,cancellandomi dalla lavagna:il mio cuore è stato interminabile. Ma perché chiedo silenzionon crediate che io muoia:mi accade tutto il contrario:accade che sto per vivere. Accade che sono e che continuo…
