ANNO NUOVO. L’APPRODO

ANNO NUOVO. L’APPRODO

Abbiamo un intero anno a disposizione, bastano tenacia, coraggio, forza e tanta buona volontà per mettere in pratica tanti buoni propositi, volti a far star bene noi stessi e vivere meglio con gli altri. Tutti noi abbiamo un sogno o una speranza nel nostro cuore e nei nostri pensieri e poi, man mano che l’anno cresce nei mesi, alcuni di loro svaniscono, si ritrovano in una fitta nebbia per colpa di una mancanza nostra o di altri che si sono intromessi nel nostro percorso. Senza rimandare ancora è necessario affrontare il nostro passato per dare basi solide al nuovo futuro, a quel sorgere del sole e affrontare ogni giorno con un pizzico di curiosità. Osservare il passato come maestro del nostro tempo, per non ripetere gli stessi errori e per sapere quali obiettivi raggiungere: meglio uno per volta, assaporandolo con gioia. Non l’immagine di chi parla a se stesso: << Ho raggiunto i miei obiettivi, le mie mete, non ho più nulla da perseguire>>. Sulle note del fantasma della fine del tempo, ecco la danza del fine arrivato, del vincitore vinto, di chi sapeva, voleva, poteva e ora indossa la divisa del nulla perché non ha più niente da fare, che non sa cosa fare, non vuole, non può più nulla. La rassegnazione è il suo abito di turno per incolparsi e la pena del proprio destino segnato, approdare così alla sua fine, esaurendo la vita unico compito del penitente. La vita è un viaggio senza ritorno, le cose vanno e vengono, non vanno e tornano. I conti, anch’essi non tornano, non si può evitare lo sbaglio che, nella sintassi, disperde l’ordine normale e normativo. Percorriamo il nostro viaggio, abbiamo raggiunto la meta? La meta non è l’approdo, è un pretesto del viaggio, a volte un abbaglio. L’ancoraggio non è un imperativo, non si rappresenta, diversamente dalla meta. L’approdo non è quello che si vuole o non si vuole, è un fine che giustifica il viaggio stesso. Indirizzare la nostra ricerca comporta sottoporla all’ideale; l’approdo potremmo raggiungerlo, ma non saremmo mai contenti, proprio perché ideale. E’ una questione di piacere che se cercato, manca sempre di qualcosa. Ecco ilpathos,l’affanno, la preoccupazione, la ricerca del piacere, che rende irraggiungibile l’approdo perché idealizzato nella meta. Non c’è approdo alla riuscita, le cose riescono quando giungono alla conclusione, di un fare senza bisogno di motivazione. Un’altra etica, un’altra legge della vita: questa è la riuscita, questa è gioia straordinaria, incontenibile. Il successo è una virtù della volontà, che sostituisce la predestinazione alla legge, alla clinica. Non è la soluzione alla patologia ma la direzione alla qualità, quella della vita. La volontà, il finalismo e il raggiungere la riuscita, sarebbero il completamento delle azioni, da cui il fine giustificherebbe i mezzi. L’approdo non si conosce e non si vuole, ma nessuna meta può evitarlo, nell’approdo la legge non trova codificazione, l’etica non consente l’identità. Se diviene caso di qualità, lascia da parte il pathos, la preoccupazione, l’affanno altrimenti l’approdare significa dare riposo al guerriero, la calma dopo la tempesta, la giornata è finita, così la noia, l’impazzimento. La vita così comincia un sospeso in attesa di rituffarsi nell’infernale giorno dopo. Mentre il riposo, l’ozio trova il nulla come luogo ideale, con l’approdo il viaggio non finisce e dissipa l’idea della fine, stabilisce che quel che vale è quello che resta, che la battaglia di ciò che ha valore è eterna. L’approdo non è mai la fine, ma va oltre l’infinito, va incontro alla ricerca della felicità che non vale mai la pena. E’ il piacere sperato e che mai si raggiunga; avvantaggiando una quotidianità diversa fatta di nuove e preziose abitudini.