THE POST. E MO’ PURE SPIELBERG PROPONE UN FILM PIENO DI RETORICA

In 60 anni di vita e 37 nei giornali ho maturato una regola: mai, mai, mai i film che parlano di giornali, giornalisti e giornalismo. Però, per amore della compagnia e per curiosità, sono andato a vedere The Post. Ecco. Mi fa male al cuore pensare che il genio dello Squalo e di E.T., della saga di Indiana Jones, di Salvate il soldato Ryan e Minority Report, per non parlare di Duel, si sia acconciato a un filmetto così scontato, prevedibile dall’inizio alla fine, gonfio di retorica, così prono alla più dolciastra correttezza istituzionale da risultare indegno di un artista del suo calibro, ma anche di un artista di calibro assai inferiore. Tom Hanks, nella parte del giornalista tutto palle, fa ridere. Meryl Streep è sempre lei ma per quasi tutto il film figura come una donnetta ricca e svampita che ha ereditato per sbaglio un giornale e tutto vorrebbe fare tranne che l’editore. Il momento di gran lunga più retrivo, però, è la scena in cui Meryl Streep, durante una manifestazione contro la guerra nel Vietnam, scende le scale della Corte Suprema tra gli sguardi adoranti di decine di sole donne. Ok, siamo nell’epoca di Me Too, meglio stare coperti. Però c’è un limite a tutto, anche a ciò che possiamo perdonare a Spielberg.