LETTERE DA UN PAESE CHIUSO 65- PASSAGGIO IN INDIA
Uno dei guai della vecchiaia è che tante persone che hanno popolato il tuo mondo non ci sono più: un distanziamento biologico, per dirla con parole di moda. Metti Piero, un ragazzo molto alto, i capelli biondi lisci e lunghi, che incontrai una mattina all’alba in un bar rimasto aperto, davanti a una spiaggia adriatica. Credo che avessimo passato una notte balorda entrambi. Ma a farci scambiare due parole furono le sigarette di entrambi, che erano le stesse: un pacchetto rosso di Sax. Senza filtro, forti, che a me ricordavano Coltrane ed erano in realtà le Gitanes dei poveri. Giocammo una partita a biliardo e facemmo amicizia. Qualche mese dopo partimmo per la Germania, in cerca di qualcosa che non sapevamo. Mi ricordo ancora che aveva una specie di mantello di tela cerata gialla, un po’ vistoso. Dopo qualche settimana a Monaco di Baviera, tornammo indietro. E lui prese a progettare il famoso viaggio in India. A quel tempo era un viaggio iniziatico, un rito di passaggio all’età adulta che non immaginavamo. Per me, in realtà, era solo un po’ di Sergeant Pepper, di sitar, e di letture di Herman Hesse. Piero partì da solo. Qualche mese dopo mi arrivò la notizia che si era tolto la vita a Istanbul, perso di droga. Veniva da una cittadina dove la tradizione sono i mosaici, ma lui era piastrellista, e amava le poesie, e aveva un cognome che era una promessa: Degli Innocenti. Ricordo ancora il suo sorriso storto, l’andatura dinoccolata. Forse per quello non sono mai andato in India, allora, e ho scelto, come terra sognata, l’America di Kerouac e quella latina di Manuel Puig e Garcia Marquez (ho viaggiato più con i libri che con gli aerei). In India ci sono arrivato solo per lavoro, tappa da e per l’Afghanistan, e per la vicenda dei marò, che presi a cuore come un torto personale, nel totale disinteresse dell’informazione, nel silenzio delle istituzioni, e perfino nella presa in giro della satira e dei social. Però mi piacque, quell’India in cui Piero non era mai arrivato, quasi cinquant’anni dopo. Non potevo essere io a scoprirla, certo, ma mi piacevano la vastità, i contrasti. Qualunque cosa potessi dire dell’India era vero: quella cosa, e anche il suo contrario: un paradiso della natura e il fiume più inquinato del mondo, un ascetismo gentile e le violenze sulle donne, la tecnologia avanzata e le toilettes che mancano. Gli indiani sikh che con il loro lavoro continuano in pianura padana a fornirci il latte, e l’indiano rilasciato dal carcere a Verona, positivo al Covid 19, fermato dai carabinieri perché, in stazione, non sapeva dove andare: stava scontando una pena di 4 anni per maltrattamenti familiari, a casa era meglio non tornasse. E l’India con il coronavirus ?L’hanno presa tremendamente sul serio, anche se il distanziamento sociale è un lusso europeo. Sarà per paura, sarà per la popolarità del premier Narendra Modi, ma il lockdown -che in un paese di un miliardo e trecentocinquantatrè milioni di abitanti, non è la stessa cosa che in Italia – è riuscito.Nei limiti del possibile tutti hanno rispettato le regole- un solo membro della famiglia a fare la spesa, sempre con la mascherina -, evitando quello che si temeva: non focolai ma l’incendio, nelle bidonvilles e nelle strutture sanitarie. Fino a oggi, 27 aprile, l’India ha avuto 20486 casi positivi e 881 decessi, molto meno di paesi più ricchi e organizzati. Naturalmente il numero dei tamponi è la prima grande incognita. La seconda è il numero dei decessi, che suona paradossale: è meno del solito. La città di Mumbai, ad esempio, ha registrato, a marzo, un calo del 21%, rispetto all’anno scorso, nei decessi. Ancora più vistoso il calo ad Ahmedabad: meno 67%. Dati confermati anche da altre città e dal fatto che le agenzie di servizi funerari si lamentano del cattivo andamento degli affari. Un ceppo di Covid 19 meno letale ? No, il sospetto è che il blocco totale abbia diminuito il numero delle vittime della strada (nel 2018 più di 150mila, triste record mondiale). Identica situazione nelle ferrovie, ferme e senza incidenti collettivi o individuali, quotidiani nelle statistiche: conosciamo tutti, almeno per averle viste in fotografia, le immagini delle carrozze ferroviarie affollate fino sui tetti. Ed è calato anche il crimine comune, le morti per rapina, o gli omicidi di ogni natura: come un gioco delle belle statuine che ferma anche le brutte. E c’è anche chi pensa che semplicemente qualche funzionario zelante abbia esagerato nel diminuire le morti in genere, nel tentativo di minimizzare quelle per coronavirus.Ma quando Narendra Modi ha chiesto, dopo aver prolungato il lock down fino al 3 maggio, agli indiani di affacciarsi alle porte e di battere le mani in segno di fraternità, lo hanno fatto in milioni. In certi caseggiati la gente affacciata ai balconi sembravano la curva di uno stadio. Lo stesso era successo per una veglia a candele accese davanti a ogni casa. Tutto sereno ? No: gli intoccabili, i più poveri, sono diventati ancora più intoccabili. I musulmani, dopo le proteste dei mesi scorsi, sospettati di essere più facilmente positivi, e dunque possibili untori. Tutti coloro che vivono alla giornata rischiano la fame. Molti di coloro che sono fuggiti dalle città per tornare la paese sono stati respinti da posti di blocco di volontari che spesso al posto delle mascherine avevano fazzolettoni, e con bastoni in mano impedivano l’accesso. Alcuni vengono “ospitati” nei bus che li hanno portati verso casa o, peggio, incarcerati in centri di detenzione improvvisati. Un gruppo di “profughi” respinto dal villaggio è stato costretto a rifugiarsi sugli alberi per paura degli elefanti, e sono rimasti a lungo senza cibo. Altri sono stati sottoposti a docce forzate di disinfettante. I volenterosi posti di blocco fai da te hanno spesso fermato la distribuzione delle derrate alimentari, nel timore che i camionisti fossero portatori di virus. La polizia in genere è piuttosto sbrigativa nel punire le infrazioni al blocco. Anche se qualche volta lo sforzo di impaurire le persone e di convincerle del pericolo, sfiora il ridicolo, come quel poliziotto di Chennai che si è fatto un casco a forma di coronavirus.Più blanda la punizione a quel gruppo di turisti che passeggiava sulle rive del Gange, obbligato a scrivere 500 volte “non ho seguito le regole del blocco. Mi dispiace tanto”. Tra loro non c’erano italiani: 300 sono rientrati in Italia il 27 marzo, lasciando sul posto una coppia di Codogno a Jaipur, e una dozzina di positivi asintomatici a New Dehli. I turisti puniti con il dettato erano probabilmente un po’ freak, perché il posto -Rishikesh – è lo stesso dove soggiornarono i Beatles, 50 anni fa, nell’ashram del Maharishi Yogi. Cercavano la meditazione trascendentale, ma Ringo Starr ripartì quasi subito perché non tollerava la dieta vegana. Paul Mc Cartney qualche settimana dopo. Per ultimi se ne andarono George Harrison e John Lennon, ma in modo repentino, all’improvviso. Il matrimonio di John stava iniziando a finire e cominciava la corrispondenza con Yoko Ono, ma al Maharishi Yogi che gli chiedeva il perché di quella fuga, Lennon rispose: “Sei tu quello cosmico, dovresti saperlo”. Volevo parlarvi degli animali in India al tempo del coronavirus, ma la storia di Lennon, nonostante non avesse nulla a che fare con il tema del giorno (o forse sì perchè Sgt Pepper erano loro), mi piaceva di più e abbiamo ancora un po’ di tempo.
