IL CINEMA ITALIANO IN PELLEGRINAGGIO DA AVATI: “RIPENSACI”
Sta diventando piuttosto ridicola questa faccenda di Pupi Avati che s’è dimesso dalla cine-commissione di esperti voluta dal ministro Franceschini a causa di “una nuova genia di giornalisti” (parole sue) che l’avrebbe offeso. Io di sicuro non l’ho offeso, anche se Pupi ha messo pure il sottoscritto nel mucchio dei cattivi. Come potete leggere più in basso nel post che ripubblico, faccio appena un cenno all’età non proprio verde (79 anni) e nulla dico, ci mancherebbe, sul suo professarsi cattolico o di centrodestra. Fatti suoi. In ogni caso, un regista navigato, robusto e del calibro di Pupi Avati poteva benissimo fare spallucce di fronte ad alcune critiche, fossero pure ingiuriose o maliziose, e ribadire il sì al ministro, del resto definito “illustrissimo” nella lettera di rinuncia fatta avere appena due giorni dopo.Nel frattempo tutti o quasi sono andati in pellegrinaggio da Avati perché recedesse dall’intento. Molti registi legati all’associazione 100Autori a titolo personale, fra i quali Francesco Bruni e Stefano Reali; tutti gli autori dell’Anac con un pubblico comunicato di incoraggiamento; a sorpresa anche Carlo Bernaschi, presidente dei multiplex, s’è detto “rammaricato”, invitando il regista bolognese a “ritirare le dimissioni e contribuire al rilancio del cinema italiano all’interno di questa Commissione di esperti”.Da ultima è intervenuta, stamattina, “La Verità”, intesa come quotidiano, con un lungo articolo polemico di Antonello Piroso intitolato in prima pagina “Cattolico e di destra. Avati fuori dal team sul cinema”. Però il titolo a pagina 11 rettifica un po’ il tiro così: “Pupi Avati manda a quel paese Franceschini”.Non so che cosa dovesse fare di più il ministro: ha scelto Avati, per ragioni immagino nobilissime, e giustamente s’è doluto della rinuncia. Ma è anche vero che Avati, il quale ribadisce ovunque negli incontri pubblici di non andare al cinema e di non vedere film italiani, ha fatto tutto da solo, prendendo a pretesto qualche fiacca contestazione per dare forfeit. Se voleva un tappeto rosso prima della nomina, poteva dirlo; una volta accettato l’incarico, faticoso e gratuito, secondo me avrebbe fatto bene a tenere il punto. Fregandosene dei giornalisti. Poi è vero: in Italia tutto diventa cinema (spesso di serie B).—–Ecco quanto scritto da me mercoledì scorso su Facebook e su Cinemonitor. C’è voluto un po’ per arrivare a cinque (la lista iniziale era lunghissima), ma alla fine il ministro Dario Franceschini ha messo a punto la commissione del Mibact che dovrà leggere e valutare le sceneggiature cinematografiche nella quota residua non contemplata dagli automatismi della molto sbandierata riforma del settore. Il commento più diffuso che girava stamattina a Cinecittà, dove il ministro ha dato la notizia nella sorpresa degli astanti, era: “Largo ai giovani!”. In effetti, non si può dire che gli esperti selezionati siano proprio di primo pelo. Ecco i loro nomi: Marina Cicogna (1934), Pupi Avati (1938), Paolo Mereghetti (1949), Enrico Magrelli (1953), Daria Bignardi (1961). Tutti ampiamente sopra i 60, a parte la Bignardi, già direttrice di Raitre, evidentemente inserita nel consesso perché “in quota Ferrara”, ovvero la città da dove viene il ministro. La commissione ministeriale dovrà amministrare circa 30 milioni di euro all’anno, non proprio bruscolini: rientrano nelle competenze del quintetto le opere prime e seconde, i film di registi sotto i 35 anni, i film ex di interesse culturale particolarmente “difficili” e che non superino un certo budget, cortometraggi e documentari. I cinque non percepiranno compensi. Era stato contemplato anche il nome del professore Gianni Canova, molto gettonato negli ultimi tempi, ma al ministero forse si sono resi conto che fa già troppe cose.
