ABBRACCI SPECIALI

ABBRACCI SPECIALI

Raccontino della notte. Ci si abitua a tutto? Mi salta in testa questa cosa mentre alle sette del mattino, tazza del caffè in mano, faccio duepassi sul balconcino. Ascolto il silenzio. Non lo trovo più così assordante. Eppure, è lo stesso silenzio che ascoltavo nel pieno della guerra all’invisibile bastardo. In quei giorni, mi dava angoscia. Mentre ci penso, mi salta in testa il rumore assordante del C130 dell’Aeronautica italiana, marzo del 2006, destinazione Afghanistan. Viaggiavo con i tappi, perché il rumore del motore ti spacca i timpani. Eppure, anche allora mi sono abituata: mezzo viaggio, quindici ore in tutto, l’ho fatto senza tappi. Ci si abitua a tutto? Ormai, mi viene naturale, la mattina, infilarmi guanti e mascherina per far spesa; scansarmi sul marciapiede, quando vedo in lontananza un altro mascherato; mettermi in fila, a distanza, davanti al market o alla farmacia. Ci si abitua a tutto? No. Mi mancano gli abbracci. Non mi abituo all’idea di non poter nemmeno accarezzare la mano dell’amata Minnie. Le sto lontana nel timore di contagiarla, perché potrei essere positiva asintomatica. Vorrei fare il test sierologico, un tampone, tutti e due. E sapere il risultato all’istante, come le statuine nelle bancarelle che cambiano subito colore in base al tempo. Qualche mattina fa, bisognosa di un contatto, all’amata Minnie ho dato un pizzicotto sul sedere. Di spalle. Il pizzicotto è diventato il mio unico contatto, in attesa dell’abbraccio. Quando si potrà, saranno abbracci speciali: tra genitori e figli, fratelli e sorelle, nonni e nipoti, zie (io) e nipotame. E saranno abbracci speciali quelli tra gli amori forzatamente lontani. Gli amori sbocciati ante Covid-19, gli amori più consolidati. Molti amici miei si trovano in questa situazione, lei in una città, lui in un’altra, nella stessa regione, in regioni diverse, in Italia e all’estero. Ma anche nella stessa città con lei che ha traslocato a casa degli anziani genitori. Amiche mie mi raccontano delle lacrime versate la mattina dell’8 marzo, domenica, festa della donna che tanto festa non è stata. Era l’inizio del cosiddetto lockdown. Si parlava del 3 aprile, allora. E già sembrava una eternità. Poi, le tre settimane e rotte sono diventate due mesi. E adesso che il 4 maggio non è più un miraggio, in questi ultimi giorni di lockdown è partito il countdown: meno 8, meno 7, meno 6… come a Capodanno, solo che lì sono secondi, qui sono giorni. Almeno ci si potrà vedere non via Skype. Il conto alla rovescia lo stanno facendo gli amori fortunati, quelli che vivono nella stessa città, regione. Gli altri, sono ancora in lacrime. Perché anche questo è uno degli strappi provocati dall’invisibile bastardo. La lontananza. E mentre scrivo, canticchio.‘La lontananza, sai, è come il vento,spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi grandi.La lontananza sai è come il ventoche fa dimenticare chi non s’ama.E’ già passato un anno ed è un incendioche mi brucia l’anima’. Grazie, Modugno. Saranno abbracci forti. Scusate il disturbo.