IN MORTE DI UN TIPOGRAFO DELLA VECCHIA E CARA UNITA’. A ROBERTO VULCANO

IN MORTE DI UN TIPOGRAFO DELLA VECCHIA E CARA UNITA’. A ROBERTO VULCANO

HO CONVISSUTO, IN TIPOGRAFIA, CON VULCANO PER UN NUMERO STERMINATO D’ANNI. ASSIEME ADALTRI BRAVI E INDIMENTICABILI TIPOGRAFI. ERANO LA MIA FAMIGLIA, TRASCORREVO Più TEMPO CON LORO CHE CON CHIUNQUE ALTRO, COMPRESI I COLLEGHI GIORNALISTI. Lì, AVEVO SCOPERTO UN MONDO DI UMANITà SCONFINATA, PREZIOSA, RARA. BEN Più ACCESA CHE IN REDAZIONE, DOVE ERANO ATTIVE ALTRE TENSIONI, UMANISSIME E INSIEME MOLTO SPESSO PER NIENTE BRILLANTI. VULCANO ERA UN DURO, UN DURO VERO. CHE MI VOLEVA BENE. CON IL GRANDE SERIANO E CIRO ERA PARTE DEL GRUPPETTO CHE OPERAVA DA ANGELO CUSTODE NEI DIFFICILISSIMI E PERICOLOSI PERCORSI DELLA NOTTE, DEL CAPOREDATTORE DI NOTTE. NON C’ERA PASSAGGIO PROFESSIONALE CHE NON MERITASSE UNA CORNICE IRONICA, SPIETATA, CONFEZIONATA DA LORO, I COMPAGNI TIPOGRAFI. CORNICI SEMPRE CARNALI, BEN PIANTATE NELLA MATERIA E NELLE SUE MILLE E MILLE POSSIBILI DEFORMAZIONI, DAL SESSO AL CIBO, DALLA POLITICA ALLA VITA. UNA MAGNIFICA “BOLGIA” CHE PORTAVA CON Sé UNA LEZIONE SEPOLTA, QUEL TANTO DI DIDATTICA CHE CONSENTE ALL’ASTRAZIONE, SU CUI POGGIA IL LAVORO DI GIORNALISTA, DI TORNARE SULLA TERRA, CON I PIEDI PIANTATI NEL SUO FANGO QUOTIDIANO. SEMPRE E COMUNQUE NEL DOMINIO DEGLI AFFETTI: DIDATTICA PRIMORDIALE MA CREDO INDISPENSABILE, QUANTO QUELLA DI UNA CASERMA DI LIBERI E FELICI IN CUI LA RETORICA, CHE A VOLTE INAVVERTITAMENTE CONDISCE I TUOI PASSI NELLA CRONACA, VIENE DENUNCIATA, RIDOTTA IN RIDICOLA POLTIGLIA. TEMPO IMPORTANTE QUELLO TRASCORSO CON LORO. E CON VULCANO, SEVERO, IRONICO, TESTARDO “EDUCATORE” DI GIORNALISTI PERFETTINI E AMBIZIOSI, CONVINTO DELLA UTILITà DIDASCALICA DEI COLPI BASSI. IROSO E MALICONICO, DURO E TENERISSIMO, INNAMORATO DELLA VITA, DELLE DONNE, DEL SESSO, DELLA SINISTRA, INNAMORATO E DELUSO, SEMPRE. DA QUEST’ULTIMA. PRIMA DI OGNI NOTTE, IO ERO CHIAMATO A RIPETERE COME UN BIMBO UNA FILASTROCCA MAGICA CHE VULCANO MI AVEVA INSEGNATO. SE NON RIPETEVO, SAREBBERO STATI GUAI, NEL SENSO CHE MI AVREBBERO LASCIATO AL MIO DESTINO E DALLA TIPOGRAFIA NON ESCI VIVO SE NON HAI I TIPOGRAFI DALLA TUA. ERA UN GIOCO, SOLO UN GIOCO, UNA MESSINSCENA, SOLO UNA MESSINSCENA, ERA PASSIONE PER IL TEATRO TOTALE, E STAVO AL GIOCO COME UNO SPETTATORE CHE VIENE CHIAMATO A SALIRE SUL PALCO. COSì, PER L’ULTIMA VOLTA, ECCO LA FILASTROCCA PORTAFORTUNA, LA RICORDO CONVINTO CHE VULCANO SAREBBE ORGOGLIOSO DI ME E DELLA MIA DISCIPLINA: “FAMME CAPì, NA Pì O ‘N BOCCHì? A CUL’ HAI APERTO STAMATTì? TRA LE CHIAPPE E LE CINQUE… TUTTI I GIORNI? AL CULO VOLTE Sì, AL CULO A VOLTE NO….”. CHE GRANDE AMORE.