TASSA, NON TASSA. LA PLASTICA
La plastica è ovunque, ed improvvisamente abbiamo deciso che non è una cosa positiva. Fino a poco tempo fa, la plastica godeva di una sorta di strano anonimato: eravamo e siamo così circondati da considerare familiare la sua presenza. E poi, quella che non vediamo o tocchiamo con mano!Per esempio, le auto e gli aerei di oggi sono realizzati all’incirca per il 50% in plastica. La maggior parte dei vestiti sono fatti in poliestere e nylon, entrambi materiali plastici, e non in cotone o in lana. La plastica viene anche utilizzata in quantità minime come adesivo per sigillare la maggior parte delle bustine da tè usate in Gran Bretagna.Aggiungiamo poi la marea di giocattoli, di oggettistica per la casa, di imballaggi usa e getta, ahimè siamo davanti ad un impero su cui davvero non tramonta mai il sole. È il materiale che fa da sfondo, colorato, anche bello, alla nostra vita moderna. Ogni anno, il mondo produce circa 340 milioni di tonnellate di plastica, sufficienti a riempire tutti i grattacieli di New York. L’umanità ha prodotto quantità inimmaginabili di plastica per decenni, superando per la prima volta i 100 milioni di tonnellate all’inizio degli anni ’90.Ma è vero che solo di recente che la gente ha cominciato a preoccuparsi. L’ albatros morto con frammenti di plastica nello stomaco o la tartaruga marina, immobilizzata in reti di plastica hanno innescato la reazione.Sbarazzarsi della plastica richiede molto di più che un semplice supermercato cambi gli imballaggi o l’obbligo di usare cannucce di cartone.La plastica si trova dappertutto non perché sia sempre stata migliore dei materiali naturali che purtroppo ha sostituito, ma perché è più leggera e meno costosa, così economica che si spiega facilmente come mai viene buttata via. I consumatori hanno trovato tutto ciò conveniente e le aziende ben contente di vendere un nuovo contenitore di plastica per ogni bottiglia di bibita o per ogni sandwich acquistato.Allo stesso modo in cui l’acciaio ha permesso nuove frontiere nell’edilizia, la plastica ha reso possibile quella cultura del consumatore a basso costo “usa e getta” che oramai diamo per scontata.La plastica è l’emblema del consumismo.Ci mette davanti agli occhi quanto il nostro modo di vivere abbia radicalmente cambiato il pianeta nell’arco di una sola vita, e viene da chiederci come sia potuto accadere.La plastica significava profitto. Come scrisse nel 1969 un ricercatore del Midwest Research Institute, una società di ricerca ingegneristica, “la potente forza motrice che muove lo sviluppo del mercato dei contenitori a perdere è il fatto che per ogni bottiglia a rendere che si vende, se ne potrebbero vendere 20 di plastica usa e getta”. Nel 1965, la Society for the Plastics Industry riferì che la plastica era entrata nel suo 13° anno consecutivo di crescita record.I rifiuti di plastica salrono ai primi posti nella graduatoria dei problemi ambientali. Nel 1970, in occasione della celebrazione della prima Giornata della Terra, già scienziati americani si lamentavano dei “nuovi metodi di imballaggio, usando materiali che non si degradano” e spiegavano che “oggi buttiamo quello che abbiamo salvato una generazione fa”.Infatti, New York istituì una tassa sulla plastica bottiglie già nel 1971, il Congresso approvò un divieto per tutti i contenitori non riutilizzabili nel 1973. Lo stato delle Hawaii vietò completamente le bottiglie di plastica nel 1977. La battaglia contro la plastica era cominciata e, in quel momento, sembrava pure che avremmo potuto vincerla.Il problema che rovinò le previsioni fu lo scoprire che la plastica è uno dei materiali meno adatti al riciclaggio. Vetro, acciaio e alluminio possono essere fusi e trasformati in un numero quasi infinito di volte per realizzare nuovi prodotti della stessa qualità del primo. La plastica, al contrario, degrada in modo significativo ogni volta che viene riciclata. Una bottiglia di plastica non può essere riciclata per fare una bottiglia di plastica della stessa qualità. Piuttosto, la plastica riciclata può diventare fibre per l’abbigliamento o materiale per mobili, che potrebbero in una terza fase essere utilizzati come riempitivi stradali o isolanti, ma nessuno di questi prodotti è ulteriormente riciclabile.Ogni fase della lavorazione della plastica è una strada a senso unico che porta alla discarica o all’oceano. “Il futuro del riciclaggio delle materie plastiche è ancora un completo mistero”, dichiarò l’ingegnere dell’Università del Wisconsin Robert Ham, nel 1992, sottolineando il numero limitato di oggetti che i prodotti di plastica riciclati potrebbero diventare.Il paradosso della plastica che, a mio parere, viviamo è questo: conoscere la portata del problema ci ha spinto ad agire, ma più agiamo, più il problema appare superiore alla nostra portata come tutti gli altri problemi ambientali che non siamo riusciti a risolvere. E l’ostacolo che ci troviamo di fronte è sempre lo stesso: una finanza che non vuole regole, il mondo globalizzato e il nostro stesso modo insostenibile di vivere.Ed ancora la gente utilizza volentieri la plastica.Però devo dire che, nonostante le difficoltà, il movimento anti-plastica ha prodotto forse la campagna ecologica mondiale di maggior successo di questi anni. Se i governi rispetteranno i loro impegni e il movimento manterrà il suo slancio, ci saranno conseguenze buone. “È un grosso problema”, scrive sul NYT, Steve Zinger, un analista dell’industria chimica della ditta statunitense Wood Mackenzie. “In particolare quest’anno, il sentimento anti-plastica dei consumatori è cresciuto. Le aziende dovranno adattare i loro modelli di business alle nuove realtà dei divieti di uso della plastica”.Sarà inevitabile che anche i produttori di petrolio, osserva Zinger e tutta la catena di produzione, dovranno sostenere delle perdite, e se non si attivano conversioni industriali e ammortizzatori sociali, bè iniziare a recuperare questo pianeta costerà anche in occupazioneCiò significa assumere consapevolezza che le questioni ambientali sono interconnesse: dobbiamo riconoscere che la plastica non è solo un problema isolato che possiamo bandire dalle nostre vite, ma è semplicemente il prodotto più visibile di mezzo secolo di consumo sfrenato.Nonostante l’immensità della sfida, Richard Thompson, l’oceanografo che ha coniato il termine microplastica, è ottimista. “In nessun movimento degli ultimi 30 anni abbiamo avuto una convergenza come questa, tra scienziati, imprese e governo”, ha concluso. “C’è una reale possibilità di cominciare a fare quello che è giusto”.Insomma tante Greta ci vorrebbero. Ma dietro il clima, la plastica, l’inquinamento…ci sta un modello economico di grandi profitti che deve essere completamente ribaltato. E questa è una rivoluzione che deve abbracciare tutti i popoli e non accadrà in modo indolore.Però non si può ‘nicchiare’ come tendono a fare i nostri politici.
