AVANTI A SINISTRA: MENO MALE CHE NICHI C’È.

AVANTI A SINISTRA: MENO MALE CHE NICHI C’È.

“Hai preso parte a trentadue rivoluzioni e trentadue rivoluzioni le hai perdute”, così cantavano i Modena City Ramblers, rievocando quel personaggio, quasi verghiano, del colonnello Buendia, in “Cent’anni di solitudine” di Marquez. E molti elettori del centrosinistra devono essersi immedesimati in quel verso dopo la nascita del Governo Letta, fatto con chi ha sfasciato l’Italia. Molti, penso, abbiano provato quel senso di sconfitta ineluttabile, quasi una sentenza della storia, per cui la sinistra non riesce a vincere e governare. Soprattutto quella maledizione per cui, ogni qualvolta sembra si possa cambiare, la sinistra perde la capacità di farsi portatrice del rinnovamento. Una perdita che chiunque, oggi, abbia ascoltato l’assemblea nazionale del PD ha provato, sentendo riaprirsi, nelle proprie carni, le ferite della sciagurata condotta di questo partito, negli ultimi mesi. Ma c’è sempre speranza. E la speranza oggi, a sinistra, è arrivata da Roma, in piazza Santi Apostoli, e dal palco di SEL. Speranza che passa, innanzitutto, dalle parole, dal vocabolario, dalle immagini e dai sogni, nonché dalla progettualità e dall’indirizzo, che alla sinistra regala Nichi Vendola. L’intervento del Leader di SEL ha avuto tre direttrici precise, mescolate tra loro, in un inseguirsi dialettico ininterrotto, se non dalle campane della Chiesa. Tre direttrici, che meritano un riassunto separato per temi, e non per tempi. La prima è stata quella della spiegazione dei meccanismi che hanno portato alla rottura del rapporto col PD, in questa fase politica. Spiegazione facile e lineare, che va ricercata nella necessità di “non rompere il patto con gli elettori,…..di non eleggere l’andreottismo a virtù nazionale, dove il cinismo è visto come realismo, ed il trasformismo è innalzato alla dignità di responsabilità nazionale”. Su questo non credo che sia necessario alcun commento, o alcuna aggiunta. Poi c’è stata la direttrice ideale e programmatica, quella in cui il vocabolario della sinistra viene recuperato e inquadrato in tre punti chiave, indicati come modello culturale della costruzione del futuro: lavoro, beni comuni, diritti. Il lavoro come punto di vista dell’azione politica, come recupero dei valori fondanti della sinistra, che si sostanzia nella non equidistanza tra capitale e lavoro; ed ancora come recupero della vicinanza con chi, nella dialettica del mondo produttivo, si trova nella situazione di ricattabilità. Che si traduce nella tutela di chi, oggi, si abbandona alla disperazione, piuttosto di convergere verso la lotta e la tutela dei propri diritti. Il recupero della dimensione sociale nel mondo del lavoro, e della sua tutela, contro un individualismo proprietario che, propagandato dai mass media, è diventato il fine ultimo dei giovani. Il recupero, melius la nuova cultura, del lavoro cha ha come fine la tutela ambientale, di salvaguardia del territorio, oggi stuprato da una visione dell’impresa come antagonista dell’ambiente. Eppure, come ha sottolineato Vendola, oggi, il discorso ambientale è questione di vita o di morte per il pianeta, e di conseguenza della stessa possibilità di futuro per le nuove generazioni. Lavoro che è attaccato anche dal nuovo Governo, dove il Primo Ministro, non pago della riforma Fornero, che ormai è criticata da più parti, vuole precarizzare ancor di più, invece di ricostruire forme contrattuali che creino certezze. I beni comuni, secondo termine della trilogia, che si sostanziano, non solo come tutela di beni necessari alla vita di ognuno, e dunque, anche, come diritti fondamentali; ma soprattutto come superamento della cultura di destra, impostasi nel ventennio. Dunque rifiuto dell’idea proprietaria della vita pubblica, che qualcuno ha voluto far passare come idea nuova o liberale, e che di liberale ha ben poco. Quell’idea che, invece, era il minimo comune denominatore della coalizione di centro-sinistra, quello slogan stupendo che diceva “Italia bene comune”, e che oggi è mortificato dall’anestesia che impone il Governo delle larghe intese. E sfida Vendola, sfida il PD sul conflitto d’interessi, un obiettivo ormai simbolico del ritorno all’idea etica di politica, di superamento delle deformazioni democratiche, che l’Italia ha subito nel ventennio del berlusconismo. Ed infine il tema dei diritti. Ricordava Vendola l’articolo della Spinelli, in cui si sottolineava come proprio in momenti di crisi, come questo, battersi per i diritti sia ancora più importante, anzi essenziale. Diritti che oggi vengono calpestati, ignorati, nascosti, rifiutati, mortificati. I diritti delle donne, sepolti sotto la colata lavica della cultura del maschilismo, una delle peculiarità del berlusconismo più genuino e deteriore. I diritti dei bambini nati da genitori stranieri, senza patria, senza appartenenza, senza una cultura a cui aggrapparsi, perché rifiutati da uno Stato cieco, che evidentemente ha paura; e su questo terreno sfida Grillo, che invece prende gli applausi di Gasparri, per le sue sparate che si muovono tra la xenofobia ed il populismo più deleterio. Ma sono anche i diritti che, poco prima dallo stesso palco, aveva richiamato il Prof. Rodotà, il diritto alla salute, citando Taranto, o il più fondamentale di tutti, il diritto alla dignità personale, calpestato da una miriade di espressioni, tutte moderne, di antiumanesimo, di conservatorismo regressivo, di imbecille personalismo. Ma soprattutto tutela dei diritti che non deve significare divisione della vita, di ognuno di noi, in due tempi: il tempo dei diritti della maggioranza, dell’omologazione, della normalità, e il tempo di chi è diverso, chi è in minoranza nelle rivendicazione della propria libertà – qualunque essa sia -, e che spesso spende una vita intera ad attendere il turno dei propri diritti, senza vederli realizzati. No tutti devono vivere, sempre, il tempo dei propri diritti. Deve superarsi la tragedia delle vite vissute in apnea, delle rivendicazioni personali disconosciute da uno Stato che vuole entrare nell’intimo, nei gusti, nelle scelte personali di ognuno di noi. La terza direttrice è stata quella, più volte ripresa, del rapporto col PD. Poco prima di Vendola, aveva parlato Gad Lerner, che aveva rifiutato la logica, tentazione storica della sinistra italiana, delle due sinistre, quella moderata e quella estremista, irriducibile, utopica. Tema ripreso da Vendola, con chiarezza e durezza. Rivolgendosi al PD, la linea è stata chiara. Opposizione dura e leale al Governo Berlusconi-Letta, ma ricerca, sempre e comunque, di quella matrice sostanziale unitaria, che aveva legato i partiti nella campagna elettorale, e nella costruzione del cantiere di Italia Bene Comune. Ricerca che passa attraverso l’applauso, chiamato al pubblico e fatto da Vendola stesso, a Ignazio Marino, candidato sindaco di Roma, che sarà espressione di entrambi i partiti, e che oggi era presente alla manifestazioni. Ricerca del nuovo cammino unitario, che passa attraverso gli auguri a Epifani, appena nominato segretario del PD. Insomma consapevolezza di un cammino interrotto, che presto, per necessità, dovrà ricongiungersi. Chi si aspettava un Vendola pronto a lanciare un’OPA su parti del PD sarà rimasto deluso. Nessun tentativo di erodere pezzi dell’ex alleato. La posizione è chiara: eravamo qua assieme, voi vi siete allontanati, noi siamo qua che vi aspettiamo di nuovo, per ricominciare. Grande dimostrazione di maturità, che ne fa, sempre più, il vero leader della sinistra. Ed allora questo è il partito che vuole costruire, un partito che toglierà il riferimento al suo nome dal simbolo, un partito che vuole parlare il linguaggio della semplicità. Un partito che, come chiedeva poco prima Concita De Gregorio dallo stesso palco, deve superare la paura delle divergenze interne, e che nell’ottica vendoliana deve essere un soggetto politico che, citando Gramsci, non si caratterizzerà per la boria di partito, ma che vuole essere vero strumento di libertà per la partecipazioni di tutti alla vita pubblica. Un partito che si caratterizzerà per la ricerca di un’educazione sentimentale dello stare assieme e, contemporaneamente, vivrà la politica come apprendimento, come apertura verso chiunque abbia qualcosa da dire, un contributo da portare. Ed allora agli sfiduciati di prima, a chi si sente un orfano perenne di rappresentanza politica, a chi sente di aver perso trentadue rivoluzioni a cui a partecipato, bisogna leggere i versi successivi della canzone citata, che fanno “Quando meno te lo aspetti verrà un uomo con la tua bandiera in mano”. E quella bandiera, idealmente, si ricongiunge con lo straccio rosso della poesia di Pasolini, letta sul palco di Roma da Leo Gullotta. Poesia che sembra un richiamo a tutti coloro che si dicono di sinistra, ma che hanno momentaneamente smarrito la strada. Poesia che è un richiamo a tornare a rappresentare ciò che la sinistra è nata per  essere. Che oggi SEL è diventato, e che speriamo anche il PD torni presto ad essere. Questa poesia: Per chi conosce solo il tuo colore, tu devi realmente esistere, perché lui chi era coperto di croste è coperto di l’analfabeta una bufala o un cane. Chi conosceva appena il tuo colore, sta per non conoscerti più, neanche coi tu che già vanti tante glorie borghesi e ridiventa straccio, e il più povero ti