CERCASI SINDACATO DISPERATAMENTE.
Mentre viviamo il momento della pacificazione politica nazionale, con un bel Governo PD-PDL che ci fa ingoiare i più truci compromessi, una domanda ci viene spontanea. Visto che il partito che ci ha portato in questa crisi senza fine, crisi che colpisce in primis il mondo del lavoro, e quello che dovrebbe, permettetemi il condizionale, tutelare i lavoratori governano insieme, chi è che tutela il popolo del lavoro subordinato? La risposta sarebbe del tutto ovvia, il Sindacato. Sembra, almeno a sentire certe voci, e ad osservare certi fenomeni, che proprio così non sia. I fatti. Qualche giorno fa vi è stato, presso la sede della direzione centrale dell’INAIL, in Piazzala Pastore a Roma, l’incontro tra i direttivi unitari di CGIL, CISL e UIL. Un fatto quasi storico, poiché era ben 5 anni che i direttivi non si riunivano, dopo la ritrovata unità sindacale degli inizi degli anni ’90. La manifestazione non è stata tranquilla. Fuori dalla sede in cui si teneva il direttivo, infatti, l’USB (unione sindacale di base) contestava aspramente, con tanto di volantinaggio, le decisioni che venivano prese dai sindacati confederali. Ed anche dentro la sala si è registrato un momento di tensione, quando l’ex Presidente del comitato centrale della FIOM, Giorgio Cremaschi, un sindacalista di lungo corso, ha cercato di intervenire in dissenso alle decisione prese dall’assemblea. Intervento impeditogli, come ci racconta lo stesso, sul suo blog su MicroMega, addirittura con la forza. Ma qual’era l’argomento, tanto importante, che si discuteva quel giorno? Si decideva sul tema della rappresentanza e democrazia sindacale sui luoghi di lavoro, stabilendo una piattaforma che sarà, ora, oggetto della trattativa con la Confindustria. Argomento certo essenziale, e altrettanto certamente complicato e difficile, su cui negli ultimi anni non sono mancate le divisione all’interno degli stessi sindacali confederali. Il punto centrale, almeno nella lettura degli entusiastici resoconti dei sindacati, era il metodo per calcolare all’interno delle RSU, o in mancanza delle RSA, la rappresentatività delle varie sigle sindacali. Punto su cui CISL e CGIL hanno avuto, storicamente, posizione del tutto antitetiche. Il punto è centrale, soprattutto dopo la legge 148/11, poiché riguarda i contratti aziendali, o di prossimità, che hanno potere derogatorio rispetto al CCNL; sicchè la forza rappresentativa dei vari sindacati all’interno delle RSU è di fondamentale importanza. Il mondo dei rapporti tra fabbrica e sindacato non è tra gli argomenti più facili. Però un piccolo riassunto dello stato dell’arte è fondamentale per comprendere la portata della questione. Senza entrare nel merito della questione, prettamente giuridica, della forza dei contratti collettivi nazionali, è ben noto come essi regolamentino a livello nazionale il rapporto di lavoro, e sono sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi e dalle rappresentanze dei datori di lavoro. Riguardano tutta una serie di profili, ma la distinzione più importante è quella tra aspetto economico e aspetti normativi ( definizione in cui rientrano varie materie, dall’organizzazione del lavoro agli orari, e tutta un’altra serie di questioni fondamentali per i lavoratori ). Per adeguare, poi, i vari aspetti normativi alle realtà territoriali, diverse in base alle zone produttive, vi sono gli accordi territoriali o aziendali, ed in questi che entrano in gioco le RSU o le RSA. Bene, in base all’art. 8 della legge sopra citata, la 148 del 2011, gli accordi di secondo grado (chiamiamoli così per comodità) possono regolare un’ampia categoria di questioni, questa l’elencazione normativa: Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione ((con riferimento)): a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta’ negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalita’ di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio ((, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonche’ fino ad un anno di eta’ del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.)) Nella sottoscrizione di questi accordi di secondo grado, un sindacato che non si trovasse in linea con quanto pattuito, poteva, dopo aver partecipato al tavolo delle trattative, non firmare l’accordo. Ed a seguito di ciò, poteva intraprendere tutte le azioni che ritenesse adeguate alla tutela dei propri rappresentati, quali scioperi, impugnazioni davanti la A.G., ecc. Il caso più famoso è quello della CGIL, nella vicenda dell’accordo nello stabilimento FIAT di Pomigliano. In quel caso, la FIOM si rifiutò di firmare accordi vergognosi, ed intraprese le azioni a sostegno della tutela dei propri iscritti, pagandone un prezzo altissimo ed abbastanza noto, come la discriminazione sui luoghi di lavoro dell’azienda, fino alla nota vicenda dei licenziamenti, poi annullati dall’Autorità Giudiziaria. Fatto questo veloce quadro, che non ha alcuna intenzione di essere esaustivo della complessa materia, torniamo all’accordo di cui ci stiamo occupando. I sindacati confederali hanno raggiunto la soluzione per cui chi si siede al tavolo della trattativa, nella contrattazione degli accordi di secondo grado, si impegna, con la propria presenza al tavolo, a non contestare il contratto firmato dalla maggioranza delle rappresentative sindacali, e votato dalla maggior parte dei lavoratori. Questo è il punto su cui Cremaschi, ed altri, si sono ribellati. Il principio di esigibilità dell’accordo. Se ti siedi e tratti, accetti il contratto firmato dalla maggioranza. Altrimenti, non ti siedi proprio al tavolo contrattuale. Da un lato sembra un metodo per escludere a priori le parti più combattive, e dunque quelle che più intendono tutelare i lavoratori. Esse saranno obbligate a scegliere a priori. Se si siedono dovranno accettare qualunque accordo, anche il più deteriore. Se non si siedono, da un lato non possono influenzare gli accordi, dall’altro avranno mani libere per contestare un accordo, che inizialmente neanche conoscono, e che magari accetterebbero pure. Un’assurdità. Dall’altro lato si potrebbe pensare che sia l’applicazione del principio democratico, applicato agli accordi contrattuali. Se la maggioranza della rappresentanza sindacale è d’accordo con un determinato contratto, allora è quello l’atto che vale per tutti. Questo profilo, però, non ci convince del tutto. Da un lato il principio democratico della maggioranza che decide per tutti può valere solo tra soggetti che si trovano sullo stesso piano. Cosa che non si realizza tra datore di lavoro e subordinati, esistendo una naturale sproporzione di forze, economiche, contrattuali e di tutela. Sproporzione ancora più ampia in periodi di crisi acuta, come il nostro, in cui pur di mantenere un posto di lavoro chiunque è disposto ad accettare la perdita di diritti, anche fondamentali; e dunque il potere ricattatorio delle imprese è massimo. Pomigliano docet. In secondo luogo, anche nel sistema democratico, la minoranza non perde certo il diritto né di protestare, né di mettere in atto tutte le tutele che l’ordinamento mette a disposizione per la difesa dei propri diritti. Cosa che invece accadrebbe, col nuovo sistema, per cui sono previste forti sanzioni, nel caso di impugnazioni o scioperi contro il contratto, non sottoscritto, ma alla cui trattativa si è partecipato. Questa la base di proposta che ci si accinge a discutere con Confindustria. Come lo definisce Cremaschi il “governissimo sindacale”. Vedremo se questi saranno gli accordi che saranno accettati anche dai rappresentanti dell’industria. L’idea che anche il sindacato sia in grossa crisi è, comunque, molto forte. Crisi di rappresentanza, crisi di forza, crisi di autorevolezza. E purtroppo nel peggior periodo in cui ciò poteva e doveva accadere. Chi ci rimette, sempre e comunque, sono i lavoratori. Speriamo che una vicenda come quella di Pomigliano non si abbia più a ripetere. Certo è che in un periodo in cui i datori di lavoro si dimostrano sempre più egoisti, più arroganti, sempre più pronti a disconoscere i diritti dei lavoratori, e gli stessi non riescono a reagire, perché nessuno li tutela più, questo era l’ultima delle decisioni che i confederali potevano e dovevano prendere. ed allora la domanda permane: chi tutela i lavoratori?
