IL GIARDINO DI ERICE. ABELE DAMIANI: “AVEVAMO IL CUORE PIENO D’ITALIA”.

IL GIARDINO DI ERICE. ABELE DAMIANI: “AVEVAMO IL CUORE PIENO D’ITALIA”.

Intervista a Piero Gallo, marsalese, appassionato del Risorgimento, il cui trisavolo è Abele Damiani, giornalista, rivoluzionario, militare (fu maggiore dei garibaldini) e politico, vissuto dal 1835 al 1905, che ricoprì diverse cariche politiche molto importanti, tra le quali quelle di sottosegretario agli affari esteri e di vicepresidente della camera quando Francesco Crispi fu primo ministro e presidente della camera. Come nasce il tuo interesse nei confronti di questo periodo molto importante per la storia del nostro Paese? Il mio è un interesse innato. Sin da bambino ero incantato dalla figura di questo antenato illustre. Mio fratello porta il suo nome, Abele, ma nonostante ciò sono io ad aver, in un certo senso, raccolto l’eredità della sua memoria. Sento di aver la missione di tramandare la storia della mia famiglia. Un’eredità anche scomoda, se vogliamo, perché mi sento responsabilizzato dall’importanza di trasmettere i valori che hanno permeato la vita del mio trisavolo, Abele Damiani, così tutte quelle degli uomini del Risorgimento. Il padre di Abele Damiani diceva “nemmeno i miei pronipoti vedranno cambiare le cose”. Ecco. Vorrei poter un giorno smentirlo. Anche se, proprio in questo momento della nostra storia, sembrerebbe impensabile. Avrei bisogno di essere appoggiato nel portare a compimento i principi che animarono quel periodo, ma non è facile trovare chi condivide questa mia “battaglia”. Abele Damiani fece cucire un drappo con il quale fu avvolto il corpo di Garibaldi alla sua morte. Cosa sai a tal proposito? Si dice fosse un drappo, o addirittura un tricolore, che riportava la scritta “Marsala al suo liberatore”. Garibaldi era un uomo molto carismatico, tanto che ogni persona, qualunque cosa stesse facendo, qualsiasi lavoro stesse eseguendo mollava tutto per seguirlo senza alcuna esitazione. Quasi una guida spirituale. Dal sua carisma non ne fu immune il mio trisavolo. A tal proposito si narra che a Palermo lo videro come inviato da Santa Rosalia, la Santa patrona della città, perché il suo cognome era Sinibaldi. Un cognome somigliante a Garibaldi, per cui ciò fu considerato un segno del destino. Come se Santa Rosalia avesse mandato un liberatore dal cielo. I principali cimeli di Abele Damiani sono conservati nel museo garibaldino di Marsala. Sei a conoscenza di altri luoghi nei quali sono contenuti altri oggetti o documenti appartenuti al tuo avo? Nel museo garibaldino è presente la sua divisa da garibaldino e anche la sua sciabola. Egli era un abile spadaccino. Infatti prediligeva combattere con la spada o armi bianche piuttosto che con le pistole e i fucili. A Roma vi è, invece, il carteggio che contiene delle lettere che egli si scambiò con Francesco Crispi, in una corrispondenza personale. Invece nelle varie biblioteche di Milano, Firenze, Piacenza vi sono i documenti relativi ai discorsi parlamentari e l’inchiesta agraria, della quale si occupò con grande interesse, che è dislocata in varie biblioteche d’Italia. Abele Damiani è stato il nonno di tuo nonno. In più sua sorella, Angelina, sposò un altro illustre garibaldino, Mario Nuccio. Qualcuno della tua famiglia ti ha tramandato qualche aneddoto particolare su di lui? Sua figlia, cioè la mia bisnonna, raccontava che egli girava per la Sicilia, con l’intento di creare i presupposti per una rivoluzione che la liberasse dalla egemonia borbonica. Dato che era noto proprio il suo impegno e i suoi intenti rivoltosi, quando si trovava a Marsala lo venivano a cercare i filo borbonici per catturarlo. Ma grazie ad alcuni tunnel, scavati preventivamente sotto la sua casa, e all’aiuto di alcuni fedeli, riusciva a sfuggire. Molte volte fu costretto a scappare anche attraverso i tetti dei palazzi. Fughe molto rocambolesche. Il tuo trisavolo fu patriota, rischiò più volte la vita per i valori della patria, e più di una volta rifiutò incarichi istituzionali di grande prestigio per combattere battaglie in prima linea. Al giorno d’oggi, in Italia, esistono, secondo te, ancora uomini che agli interessi personali antepongono così fortemente i propri valori? Ben pochi. In Italia ormai, se esistono uomini così, sono ben pochi. A quei tempi gli uomini di fronte a corruzioni e azioni per vantaggi personali rispondevano sempre “noi siamo uomini di Stato e da uomini di Stato non ci abbassiamo a cose che vanno a nostro favore andando contro lo Stato”. C’era un fortissimo senso dell’onore. Tra i documenti del periodo risorgimentale e post-risorgimentale che raccogli ce n’è qualcuno che ti ha colpito in particolare? Ci sono le lettere scritte da Damiani durante i vari periodi di prigionia nelle diverse carceri in cui fu rinchiuso a causa delle sue idee rivoluzionarie. Anche il fratello Antonio visse la prigionia. Si ammalò in un carcere e morì subito dopo quel periodo di detenzione. Custodisco con cura particolare una coperta da lettino che Abele Damiani ricamò, con impresse le sue iniziali, nel periodo di prigionia che subì alla colombaia, un carcere di Trapani. Guerre, cospirazioni, fughe pericolose, prigionie, ma anche grandi amori. Non solo quello immenso tra Garibaldi e Anita, ma tanti altri garibaldini vissero amori molto tortuosi e imperniati di passione. Abele Damiani, ad esempio, era considerato un uomo allegro, distinto, che vestiva bene e di grandissimo fascino. Egli aveva un forte ascendente verso le donne tanto che, durante una battaglia nel Tirolo, fu designato proprio “il più bel ragazzo del Tirolo”. Immagini che sembrano la sceneggiatura di un film, se non fosse che sono fatti veri. Gli Italiani come sono cambiati oggi rispetto ad allora? Sono molto cambiati. Quelli erano anni vissuti intensamente, con la forza del coraggio e della passione. C’era passione in tutto. Dalla politica ai sentimenti. Gli italiani oggi sono privi di quella vera passione che caratterizzò fortemente quel periodo. Purtroppo l’hanno perduta nel corso degli anni. Non hanno più punti di riferimento, non vogliono più somigliare a qualcuno che veramente meriti di essere sollevato ad esempio positivo. Da piccolo volevo essere come il mio avo, valoroso, sprezzante del pericolo, motivato dalla forza dei valori. Ovviamente il tutto rapportato ai nostri anni, anche perché siamo, decisamente, cambiati geneticamente. Abele Damiani, relativamente agli eventi e alle emozioni vissute in quegli anni, disse di sé stesso e dei garibaldini “ avevamo il cuore pieno d’Italia”. Trovo sia una frase meravigliosa. Non penso esista oggi qualcuno che possieda fino in fondo un cuore così. Abele Damiani fu fedele a quel senso dello stato, dei valori e della sobrietà fino alla fine dei suoi giorni, compreso l’ultimo. Le sue ultime volontà sono riportate in questa lettera, che fu letta in Senato dal Presidente: “Mio amatissimo collega, in qualsiasi luogo avverrà la mia morte, chiedo alla vostra cara amicizia di voler comunicare all’Ill.mo Presidente del Senato la mia estrema volontà, che ne sia data all’alta Assemblea soltanto la comunicazione, senza alcun accenno alla mia vita di cittadino e di uomo pubblico. Nel caso poi che la mia morte avvenisse in questa Capitale, vi aggiungo la preghiera di voler disporre che non mi si faccia alcun funerale, e che il mio trasporto abbia luogo nelle forme più modeste,more pauperum, escludendo fiori, discorsi e tutto ciò che usa generalmente in simili circostanze”. Si. Anche nell’ultimo giorno della sua vita fu fedele al senso di uomo dello Stato che da importanza più alle azioni che ai titoli e agli onori. Egli volle un funerale semplice. Senza parole di elogio, senza fiori. Tempo fa mi fu spedita una foto di quel suo funerale. C’era una carrozza semplice con due cavalli. Ovviamente erano presenti anche alcune autorità ma fu una cerimonia ridotta all’essenziale. Cosa rimane, oggi, a distanza di tanto tempo, di quegli uomini, di quelle gesta, di quei valori? Poco. Molto poco. La storia scritta nelle pagine dei libri, i racconti nelle lettere, le giubbe dei garibaldini ormai logore e consumate. Certe volte ho come l’impressione di aver vissuto quel periodo. Tanto mi sono immerso con l’anima e col cuore in quegli anni e tanto ho letto con attenzione le lettere di Abele Damiani, sfogliato quelle carte, che è come se avessi vissuto fianco a fianco a lui. Come se mi avesse regalato negli anni un viaggio a ritroso nel tempo. E di ciò gliene sono grato. Qual è il tuo obbiettivo principale e il tuo desiderio più grande relativamente a questo tuo grande interesse per il Risorgimento e per la figura di Abele Damiani? Vorrei tanto che in un futuro si potesse realizzare una fondazione a suo nome, per non dimenticare un uomo che appartiene alla storia della mia famiglia ma anche alla storia di tutti gli italiani orgogliosi di essere italiani. In più spero tanto di avere un erede, anche più di uno, che possa un giorno tramandare gli insegnamenti di Abele Damiani attraverso la divulgazione del suo pensiero e delle sue gesta e che segua e continui ciò che sto facendo. Sarebbe un peccato perdere la memoria di chi continua, a distanza di tempo, a renderci orgogliosi di essere italiani. La nostra nazione oggi, a fronte anche delle numerose difficoltà che la affliggono, ha bisogno più che mai di attingere al passato attraverso l’analisi, il ricordo e l’esempio dei grandi uomini che hanno fatto grande l’Italia.