LE FAKE NEWS, LA RAI E L’APOCALISSE DIGITALE

LE FAKE NEWS, LA RAI E L’APOCALISSE DIGITALE

Da diversi mesi i massimi dirigenti della RAI parlano della possibilità che il servizio pubblico crei una struttura destinata al fact checking, magari in collaborazione con altre grandi emittenti europee e la nuova edizione delPrix Italiaa Milano questa settimana potrebbe essere l’occasione dell’annuncio. Di per sé una buona idea, che rischia tuttavia di soffocare nella cultura prevalente in azienda e nel mondo politico italiano, che mi sembra drammaticamente evidenziata da  uno spot radiofonico in onda in questi giorni, francamente reazionario. Il Prix Italia è il premio internazionale annuale per i prodotti radio-televisivi (ora anche web) creato dalla RAI. Il tema dell’edizione attuale, la 69a che si tiene a Milano dal 29 settembre al 1 ottobre, è “Back to Facts“, una chiamata alle armi contro le cosiddette “fake news” e una rivendicazione del ruolo e della credibilità del giornalismo professionale, in  particolare del giornalismo di servizio pubblico. Come dice la presidente della RAIMonica Maggioninellapresentazione del catalogodell’evento: “Riflettere sul lavoro concreto ed essenziale che c’è da fare per bloccare le informazioni scorrette, non controllate, o inventate del tutto è al centro dell’edizione 2017 del Prix Italia. (…) La preoccupazione è grande: le fake news assediano l’informazione e occupano il dibattito pubblico. La verità sfuma nella battaglia delle idee. Giornalisti contro social network, media tradizionali contro piattaforme internet, politici contro tv e giornali. Chi cerca le notizie e chi i fatti alternativi. A rischio non è solo il giornalismo, ma l’intero sistema democratico”. L’espressione fake news è un po’ usurata, ma l’idea è chiara e comunquele videoslide di presentazione sulla pagina Facebookdel premio la spiegano in termini abbastanza pacifici: Questo è ciò che apprende dell’iniziativa il pubblico internazionale. Questo è, invece, ciò che apprende dell’iniziativa il pubblico italiano, se ha la  ventura di essere sintonizzato su RadioRAI, come è successo venerdì e sabato scorsi al titolare di questo blog: Spot radiofonico Prix Italia 2017 (AUDIO) * Dopo la sigla di chiusura del GR3 parte una voce stentorea sullo sfondo di una musica martellante: Il tono è enfatico, da trailer di film apocalittico, il  testo mischia tesi “fake” e tesi di chi vuol combattere i fake, mette insieme la questione delle notizie false e quella del cosiddetto “hate speech”. Chiedo aiuto a chi capisce di pubblicità e di comunicazione in genere: forse si tratta di un improbabile esperimento di capovolgimento autoironico del messaggio letterale, tipo il discorso della bambina antipatica nella controversapubblicità della merendina Buondì, ma l’unico messaggio che sostanzialmente passa è che “blog” e “social” ci hanno rovinato la vita e che dobbiamo “riprenderci la verità”. Che è esattamente ciò che pensa gran parte della politica e del giornalismo italiano. Qualcuno questo spot lo ha commissionato, qualcuno lo ha scritto, qualcun altro lo approvato, qualcuno ancora lo ha pubblicato. Tutti hanno giocato con le paure e le pulsioni anti-digitali che vanno per la maggiore – non un viatico particolarmente fausto per le iniziative che la RAI potrebbe lanciare nel prossimo o più distante futuro. Monica Maggionine ha parlato ripetutamente dall’inizio dell’anno, sottolineando in modo generico la necessità di combattere le fake news riqualificando l’offerta giornalistica in termini di credibilità (ad esempio il31 gennaio 2017,10 febbraio 2017,10 marzo 2017,17 marzo 2017,17 marzo 2017,2 maggio 2017). Ci è tornata il 9 settembre,parlando a un convegno sulla sicurezza della rete alla Camera dei deputati, per auspicare che la RAI “si metta al centro della costruzione di un sistema di fact checking insieme alle altre emittenti europe”: “Per il falso si va in galera“? No, di per sé no, grazie al cielo non ancora, presidente, a meno che non si tratti di cose tipo truffa, contraffazione di marchi o di diffamazione (ma questo non ci piace tanto a noi giornalisti, no?). E’ evidente che al di là del giusto appello alla verifica delle fonti, al di là della sacrosanta ricerca di una maggior credibilità da parte dei giornalisti professionisti, resta qualcosa di non detto, una cultura del controllo che pensa di poter in qualche modo fare azione di pulizia/polizia nella terribile “apocalisse digitale” richiamata dallo spot radiofonico. Un’apocalisse che è in tutti sensi digitale. Inuna intervista del 31 agosto, una settimana prima cheMilena Gabanellisi “auto-sospendesse” polemicamente dalla RAI, il direttore generale dellaMario Orfeoaveva detto aRepubblicadi averle chiesto “di sviluppare e rilanciare subito il portale web dove ora è collocato, ovvero suRai News.it, potenziato da nuove risorse e dalla struttura dedicata al data journalism che lei stessa ha costruito e che ha già prodotto alcune inchieste di pregio.Questo polo vuole avere anche l’obiettivo di contrastare il virus delle fake news“. Cioè il contrasto alle fake news è roba che riguarda il digitale, anzi il sito web di news, non le redazioni dei telegiornali e dei giornaliradio, perché è nel digitale che si generano le “fake news” (i “blog”, i “social”…) e perché, quindi, è all’espressione digitale della RAI che si vorrebbe dare il compito di combatterle. C’è una idea separata del mondo digitale e del giornalismo digitale che è dura a morire e quindi  non si riescono neppure a immaginare strutture trasversali che servano le testate oltre che il pubblico esterno, verificando ed evidenziando i “fake” – dovunque essi si generino o siano diffusi, magari nelle stesse testate RAI. Recentemente il vicedirettore della BBC Radio,Graham Ellis, è stato eletto presidente del Prix Italia e il sito del premiolo ha intervistato sull’argomento del giorno.Ellisragionevolmente sottolinea che “non possiamo correggere internet e allo stesso tempo non possiamo stare in disparte mentre alcune cose continuano ad accadere e alcuni errori a essere commessi.  Dobbiamo fare in modo che le persone che ascoltano i nostri programmi o guardano i nostri telegiornali possano fare affidamento su quello che sentono e vedono. Per questo motivo alla BBC abbiamo organizzato un’unità chiamataReality Check, che individua storie false mascherate da news online”. Ma mentre preparavamo questo post tra i primi argomenti “controllati” dal servizio non c’erano “bufale” online, ma il discorso del primo ministro sulla Brexit, le affermazioni del ministro degli Esteri e altri temi di attualità. Mi piacerebbe una RAI così… In attesa di arrivare a un servizio pubblico che sveli una bugia del ministro degli Esteri, senza affidarsi ai commenti degli avversari, si potrebbe provare a replicare un’altra struttura della BBC: loUGC Hub, il desk trasversale dotato di una ventina di giornalisti chiamati a verificare ogni singolo pezzo di “User Generated Content” (video su YouTube, post su Facebook, foto inviate direttamente dai cittadini alla redazione…) prima che i programmi radiofonici, i programmi televisivi o le pagine web della BBC possano utilizzarlo. Ci state, colleghi della RAI?