LO DICE ANCHE LAURA BOLDRINI: NESSUNA LEGGE BAVAGLIO PER IL WEB

LO DICE ANCHE LAURA BOLDRINI: NESSUNA LEGGE BAVAGLIO PER IL WEB

Qualche giorno fa avevamo scritto un pezzo sul dialogo, o meglio su alcuni di quei cortocircuiti che impediscono, ormai, un corretto svolgimento dello stesso. Tra le cause avevamo individuato l’incapacità dell’ascolto dell’altro, come base minima per una discussione. Incapacità che avevamo fatto derivare o da superficialità o da presunzione. Nel campo politico possiamo aggiungerne un terzo, il dovere morale di criticare, sempre e comunque, le idee dell’avversario. Bene ieri abbiamo avuto una ulteriore conferma di quanto avevamo descritto. Esce su Repubblica un intervista al Presidente della Camera Laura Boldrini, a firma di Concita De Gregorio, in cui la terza carica dello Stato parla, tra le altre cose, di web (il tutto parte dall’incredibile serie di minacce che la stessa riceve). Il titolista del quotidiano spara un “Non ho paura ma stop all’anarchia del web”. La giornata di ieri, tra l’altro giornata mondiale per la libertà di stampa, diventa un attacco continuo, ed a volte ridicolo, alle parole della Presidente; abbiamo detto attacco alle parole, ma non è vero, più che altro attacco al titolo dell’articolo, ed a quello che ognuno ha voluto leggervi (ammesso che l’abbiano fatto), nell’intervista. Ora capiamo che non tutti possono vantare un titolista come noi di Alganews, però se si vuole criticare ciò che una persona dice, soprattutto se la stessa ha ampiamente dimostrato di non essere una sprovveduta o di parlare a caso, prima bisognerebbe fare lo sforzo di leggere, e con attenzione, ciò che vi è nell’articolo, e magari fare l’ulteriore fatica di cercare di capire. Se poi prima di criticare si volesse anche studiare, non dico con attenzione, ma magari anche superficialmente, la materia, sarebbe ancora meglio. Dicevamo degli attacchi subiti dalla Presidente Boldrini, vi è chi l’ha accusata di distinguere reale e virtuale (idea fossile), chi di attentare alla libertà di espressione, di voler creare legislazioni speciali e preventive per il controllo della rete, e tutta un’altra serie di amenità varie. E la cosa divertente è che tali accuse partono anche dal medesimo giornale su cui è stata pubblicata l’intervista. Forse troppa fiducia nel proprio titolista! Presi da un certo sgomento per un’uscita simile della Presidente della Camera, che ammettiamo ci era sembrata una persona di tutt’altre idee, ci siamo dedicati alla lettura dell’intervista. E lo abbiamo fatto con un metodo particolare, addirittura sbagliato. Lo abbiamo letto prevenuti, cioè dando fiducia a tutte queste critiche, dando per scontato che le accuse fossero vere. Risultato di questa indagine? Zero assoluto. La Presidente pone dei problemi, ed anche seri, non parla di alcuna forma di anarchia, non distingue tra reale e virtuale, anzi la sua riflessione si basa proprio sul concetto opposto. Nell’intervista sono posti, esattamente, due temi. Il primo quello della violenza sulle donne. Il secondo quello dei reati via web. Ci chiediamo perché nessuno parli del primo, e tutti si siano scatenati sul secondo. La risposta, purtroppo, è facile. La violenza sulle donne non attira, non è argomento cool, non può essere criticata – in quanto a parole siamo tutti d’accordo -, perchè viviamo in un Paese in cui una donna è ancora vista, se non proprio come un oggetto, comunque come un essere che non merita attenzioni particolari; ed in questo la colpa è, in gran parte, di certo femminismo aggressivo. Tutto lo pseudo dibattito si è scatenato sul secondo argomento, dunque. Subito una precisazione: la Boldrini non parla assolutamente di anarchia. Pone, di contro, un problema non da poco. Partendo dal presupposto che la rete è uno spaccato della vita reale, in cui dietro a nickname, profili facebook, e quant’altro si muovono persone, che poi agiscono anche nella società reale, chiede di aprire un dibattito, e non dà alcuna indicazione di partenza, sui reati commessi in rete. Vi è un solo passaggio che potrebbe essere letto in maniera pericolosa, ovvero quando parla di controllo della rete. Ciò potrebbe essere letto sia come controllo preventivo, che come controllo successivo. Prevenzione o repressione? Se si riferisse a forme di controllo preventivo, allora sarebbe criticabile, ma dal tenore della discussione non è possibile attribuire al Presidente alcuna intenzione similare, o di censura; se qualcuno questo vi ha letto, lo ha fatto in malafede, o per i problemi di comunicazione evidenziati all’inizio del pezzo. Ciò che invece chiede, e con forza, è una riflessione sui reati commessi per mezzo della rete. E non si tratta di una discussione sterile. Da quando il virtuale è diventato sempre più invadente nella nostra vita, sono fioriti studi di diritto penale relativi ai cd. cyber crime, e molti studiosi si sono dedicati al tema. Una prima, approssimativa, distinzione in tema è quella tra reati “propri” del web, cioè che possono essere commessi sono attraverso l’utilizzo di mezzi informatici, e reati comuni che si realizzano tramite la rete. Il discorso è chiaramente rivolto a questi secondi. Si chiede, e ci chiede, la Boldrini:Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web. La domanda ha una valenza prettamente retorica, almeno da un punto di vista dogmatico. Una minaccia, come fattispecie penale, non cambia, a prescindere dal mezzo utilizzato. Vero è, invece, che altri problemi possono sorgere. Ma un discorso serio prende le mosse da un’altra considerazione. Non sempre i reati previsti da un codice scritto nel ventennio sono applicabili anche a forme moderne di commissione. Esiste un principio nel diritto penale, il divieto di analogia, che pone ostacoli all’applicazione di norme penali alle nuove ipotesi di reati commessi in rete. L’analogia è quel procedimento per cui un vuoto normativo viene riempito attraverso l’applicazione di norme che regolano casi simili. E’ chiaro che, sotto questo aspetto, esistono vuoti normativi, causati dal nuovo fenomeno virtuale, che creano zone sprovviste di adeguata tutela. E’ davvero così scandaloso aprire un dibattito se sia il caso di prevedere figure di reato applicabili a casi simili? E non si tratta di trovare regole speciale, perché il mondo della rete è diverso da quello reale, si tratta dell’operazione opposta, rilevare come la due realtà siano ormai inscindibili ed assimilabili, e adeguare la normativa a due fenomeni complementari ma non identici. Nessuna legislazione speciale, nessuna legge bavaglio, ma tutele uguali, pur nella diversità dei fenomeni. E’ chiaro, anche, che in un mondo ampio e veloce come quello virtuale, sperare di ottenere una regolamentazione adeguata ed una tutela completa è praticamente impossibile. Troppa la vastità, troppi i punti di intervento. Ma da questa considerazione, voler accusare la Boldrini di oscurantismo, è ridicolo. I veri interventi non sono tanto nel diritto sostanziale, a parte le criticità sopra delineate, che sono comunque minime poiché è chiaro che la maggior parte dei reati previsti sono applicabili anche se commessi in rete (ingiurie, diffamazioni, minacce, ecc), il problema vero è quello della reazione a fronte di fenomeni di vastissima portata e del tipo di reazioni adeguate. Basti pensare che ad oggi, almeno per quanto ci risulta, vi è stato un solo caso di applicazione della legge Mancino (contro la discriminazione razziale, etnica e religiosa), contro gruppi antisemiti, mentre è sufficiente fare un giro su facebook, per trovare decine di gruppi dello stesso tipo. Questo dà conto della difficoltà oggettiva di repressione per i reati commessi sul web. Vi è, davvero, tanto da scandalizzarsi se si chiede di aprire un dibattito su questi fenomeni? Soprattutto se ciò avviene da parte di chi subisce giornalmente centinaia di reati vergognosi, dalle ingiurie alle minacce? Eppure la posizione della Boldrini, così come risulta dall’intervista, è del tutto sobria e razionale. Ciò che di irrazionale possiamo osservare è, invece, la reazione scomposta e assurda dei commentatori. Ed il tutto assume le forme della pantomima se si pensa che ieri era la giornata mondiale della libertà di stampa. Forse il discorso potrebbe a questo punto allargarsi, ma rischiamo una discussione infinita. Ci limitiamo a fare un’osservazione. E’ abbastanza normale sentire, dai soliti liberali da quattro soldi, che la libertà dell’individuo finisce dove inizia quella degli altri. Anche a voler accettare questa minima, ed assolutamente inadeguata idea, è evidente che libertà di stampa, e più in generale di espressione, non significa libertà di commissione di reati. Forse hanno, solamente, voluto festeggiare degnamente tale giornata. Ed allora, in ossequio a questo, chiudiamo con la battuta più intelligente letta ieri, sicuramente più  condivisibile di tutte le censure contro la Presidente della Camera:Oggi è la giornata della libertà di stampa ma quella dei 31 scudetti rimane lo stesso una cazzata, eh.