SEBASTIANO FILOCAMO, IL TEATRO DI DENUNCIA IN FORMA POETICA

SEBASTIANO FILOCAMO, IL TEATRO DI DENUNCIA IN FORMA POETICA

SOMMARIO – Sebastiano Filocamo, attore e regista,  lavora, tra altre cose, come volontario con ragazzi segnati da diversi problemi, affrontando argomenti come l’omofobia, il femminicidio, il bullismo, la migrazione, le difficoltà dei genitori. L’ultimo spettacolo prodotto con loro è una ricerca sulla poetica di Fabrizio De Andrè; ha ricevuto notevoli riconoscimenti da pubblico e critica, ed è stato citato tra i 10 spettacoli d’innovazione più interessanti. In questa intervista, vediamo il suo percorso artistico. «Continuo i miei progetti teatrali con la Onlus “La Stravaganza” (http://ioeden.altervista.org/blog) dove faccio  volontariato da 13 anni e con la quale tempo fa ho realizzatoOstinati e Contrari, un intenso lavoro su De Andrè. Lavoro con dei ragazzi con problemi psichiatrici, fisici, sociali, a cui voglio davvero molto bene, e con altri bravissimi volontari e grandi professionisti», afferma orgoglioso si sé Filocamo. Vedere il trailer qui in fondo per avere un’idea di quale lavoro è stato fatto. Ora ha in progetto un nuovo spettacolo:  «Abbiamo avuto il benestare per la partecipazione di tanti amici attori molto noti e così anche cantanti. I temi che trattiamo sono relativi all’omofobia, il femminicidio, il bullismo, il fenomeno della migrazione, le difficoltà che provano i genitori che devono affrontare questi problemi, dove lo Stato toglie e continua ad essere assente. Amo il teatro di denuncia sotto forma poetica. In una società inquinata dalle troppe parole è importante ridare dignità alle stesse perché le parole, per me, devono essere essenziali». Da un punto di vista della carriera non sembra una scelta premiante. «Sono sempre stato una persona controcorrente e nella mia vita e nella mia carriera artistica ho dato più valore a ciò che mi trasmettevano e mi restituivano umanamente e professionalmente progetti di solidarietà o particolarmente innovativi e creativi piuttosto che a progetti che mi avrebbero donato una grande notorietà.  L’arte deve porsi al servizio dell’umanità e questi sono lavori che valorizzano il lato emozionale e fisico della recitazione. In definitiva vorrei più abbracci e meno parole in questo nostro mondo che viaggia troppo veloce e che avrebbe più bisogno di lentezza e introspezione». Come nasce in te l’interesse per la recitazione? «In questi giorni ci riflettevo proprio. Mi sono ritrovato a fare una serie di cose. Prima il Liceo, l’Università, poi la Scuola di Cinema, l’Accademia. Ho sempre fatto ciò che mi faceva stare bene. Volevo prendere ciò che la vita mi dava e nel contempo ribellarmi ai pregiudizi  e la violenza per il solo fatto di essere “terrone”. Volevo scoprire me stesso, volevo mostrare chi ero. In realtà nella vita sono molto timido. Spesso ho paura di non essere sempre all’altezza delle situazioni. In ciò ringrazio questo mestiere per avermi aperto un mondo. Quindi è stata soprattutto una scelta sulla spinta delle mie insicurezze. Ma la fragilità, tanto osteggiata in questa società, in fondo è un bene e mi ha portato a scavare in me e ad essere ciò che sono adesso. Ora non posso fare a meno di esprimermi. Ho bisogno della quarta parete, dell’obiettivo. Ricordo che durante le riprese di “Una pura formalità” Tornatore mi disse: “Hai una faccia che va oltre lo schermo”. Quando recito mi trasformo. Creo un personaggio. Del resto ritengo che un attore non deve mai essere se stesso quando recita». Qual è l’incontro artistico che ti ha più segnato? «È stato quello con il grande Elio De Capitani. Mi ha scoperto teatralmente. Con lui ho fatto il mio primo spettacolo al Teatro dell’Elfo. Tutta la famiglia del Teatro dell’Elfo mi ha fatto sentire amato. Di ciò sarò grato per sempre. Però se penso all’impatto creativo più importante e che mi ha dato più emozione penso a quello con Marco Bellocchio. Per il resto amo molto lavorare con le donne. Ho avuto bellissime esperienze lavorative con Francesca Archibugi e Cristina Comencini. Amo l’universo femminile. Trovo che realmente possiedano molto più degli uomini, ecco perché vengono spesso tenute a bada. E se poi pensiamo all’amore tra madre e figlio è l’unico amore incondizionato che esista. Per il resto gli altri amori sono solo ricerche per accrescere il proprio ego». Tra tutti i film che hai interpretato in quale ti sei dovuto più snaturare? «In realtà nessuno dei personaggi che ho interpretato è mai stato me stesso, ma in tutti ho messo me stesso. La costruzione dei miei personaggi avviene dapprima attraverso le piccole cose, come il modo di tenere in mano una sigaretta, e poi crescono pian piano, sequenza dopo sequenza. La costruzione del personaggio è, in fondo, un crescente artificio». La recitazione è fatta di parole, di pause, di gesti. Ma di che sostanza sono fatti i tuoi silenzi? «I miei silenzi sono pieni e in questo periodo, per questioni personali, obbligatori e potenti. In generale il mio silenzio è uno stato mentale. Il silenzio mi consente in alcuni momenti di vivere con quell’occhio distaccato perché possa cogliere il precipizio e la linea retta su cui mi muovo, che è intrisa dei valori che mi ha trasmesso la mia famiglia. Ad esempio resto in silenzio guardando dei bambini giocare. Nell’ultimo lavoro che ho girato in Calabria erano fatti di spiagge e della gente che viveva nei luoghi delle riprese. Il silenzio non lo associo a qualcosa di negativo, come può essere quello legato ad un periodo di depressione. Quello è un silenzio che ha un’identità propria. Ma il vero silenzio non ha un nome». Appari misterioso e magnetico ma anche molto ironico. Che significato ha l’ironia nella tua vita? «L’ironia è fondamentale ed importante. E l’essere autoironico mi ha salvato tantissime volte. Fa bene ridere dei propri errori, ridere di sé stessi. Ci sono situazioni in cui sei così dentro che è necessario staccarsi. L’ironia ti riporta alla realtà». Quando guardi a te stesso in cosa ritrovi la tua sicilianità? «La vedo riflessa soprattutto negli altri che me la riconoscono. Come dico sempre mi sento “nordico di testa e sudicio di cuore”. In realtà per un lungo tempo con  la Sicilia c’è stato un rapporto di rifiuto da parte mia. Per moltissimi anni non l’ho più rivista. Poi in occasione di uno spettacolo tornai rivalutandola. Adoro i cannoli siciliani e la pignolata. Solo che ogni volta che li mangio esagero e rischio di sentirmi male. Ecco la Sicilia è così. Quando la vedo rischio di fare indigestione. Rischio di star male. Allora devo al tempo opportuno allontanarmene». Quali sono i tuoi nuovi progetti? «Ho ultimato le riprese di un film di Francesco Munzi e poi c’è un nuovo film di Federico Brugia col quale ho girato “Tutti i rumori del mare”, un bellissimo lungometraggio che con i suoi ritmi lenti riporta in una dimensione di riflessione.