BELLI SENZ’ANIMA

BELLI SENZ’ANIMA

E adesso siediti su quella seggiola, e poi scattati un altro selfie. Eh si, se Riccardo Cocciante avesse scritto la sua splendida canzone ai nostri giorni, forse avrebbe avuto scelto testi diversi, perché i cantautori traggono spunto dalla realtà, e questa attuale, di realtà, è pervasa da immagini che riflettono solamente la superficie. Siamo transitati, senza mediazione, dall’Avere o Essere di From all’apparire senza essere. Il sociologo tedesco  individuava  due categorie, quelli che vivono secondo la modalità dell’averee coloro che seguono invece un sistema di vita incentrato sull’essere. Ingenuo di un germanico, che non aveva considerato l’evoluzione, o involuzione, dell’umanità. Ormai l’avere è diventato una finzione, si contraggono piccoli debiti per poter vantare l’ultimo modello di telefono, la vacanza vicino ai personaggi del gossip, l’automobile meno da “poraccio”. Eppure fino a venti anni fa le persone mettevano i blocchi al telefono di casa per non pagare bollette stratosferiche, e quando si facevano fotografie si cercava di non sprecare la pellicola. La pellicola! Che oggi le nuove generazioni non sanno neanche cosa sia una pellicola fotografica, ed è giusto, come io non sapevo cosa fosse un dagherrotipo, e non lo so neanche oggi ma mi piace la parola. Ma in questo turbine evolutivo qualcosa si è perso, perché prima ci si metteva il cuore, l’anima, nelle fotografie, perché erano i ricordi importanti, quelli da rivedere insieme agli amici, come le foto del matrimonio, quando si veniva invitati a pranzo, ignari, da qualcuno tornato da un viaggio di nozze, e si passavano ore chinati su un tavolino a guardare la foto di zio, si, zio, lo zio che è venuto apposta dall’alta Badia per partecipare al matrimonio ma chi lo ha visto mai l’ho invitato per far piacere a mia madre, e comunque zio che dorme sulla sedia al pranzo, e poi lo scatto delle vacanze e la conchiglia trovata sulla spiaggia che ce ne sono tremila di quelle cacchio di conchiglie ma vabbè, e così via. Ora invece, grazie alla tecnologia, scattiamo foto anche quando mangiamo, per mostrare cosa abbiamo nel piatto, nel bicchiere,  fin quando arriveremo a scattare foto della roba che è rimasta tra i denti.  Siamo tutti belli in queste foto, divisi tra quelli che mettono la bocca a fondo schiena di gallina, ad imitazione di stelline televisive che più altro paiono meteore, e quelli invece che si sforzano di apparire normali e spontanei, anche se dietro di loro compare dal terreno Godzilla. Siamo in grado di fotografare tutto, ma abbiamo dimenticato come focalizzare i momenti speciali, quegli istanti che nella memoria restano impressi ed emergono quando meno te lo aspetti, quando hai bisogno di una lacrima per una vita che corre troppo, e nessuno scatto potrà mai trattenere quei frammenti di luna incastonati nelle gocce di acqua salata in una notte d’estate. Belli senz’anima, belli senza vita, manichini immortalati mentre dimentichiamo di meravigliarci per ciò che vediamo, esploriamo il mondo senza muoverci da dentro noi stessi, l’esigenza di rubare quante più immagini possibili ci impedisce di comprendere la storia dietro un monumento, una casa, un lager dove la gente si dissolveva dal corso del tempo per le farneticazioni di un pazzo. Le fotografie dei turisti in equilibrio sui binari di Auschwitz hanno fatto gridare allo scandalo, alla mancanza di rispetto, ma passa tutto in secondo piano, anzi, passa tutto, perché poi quelle foto verranno pubblicate sui social network, ma non saranno stampate, momenti persi nel tempo, che non faranno in tempo a raggiungere l’anima, e saremo sempre piu’ belli, e sempre più vuoti.