GIULIO ANDREOTTI. IL POTERE LOGORA CHI NON FINISCE SOTTO PROCESSO.

GIULIO ANDREOTTI. IL POTERE LOGORA CHI NON FINISCE SOTTO PROCESSO.

“La vita non è né bella, né brutta, ma solo strana”. Chissà se questa frase sia stata uno degli ultimi pensieri di Giulio Andreotti, mentre stamane viveva i suoi ultimi momenti di vita. Perché un fatto è certo: è davvero paradossale che nel momento stesso in cui, nella vita politica, si creino le premesse per la rinascita di qualcosa di simile alla DC, il suo più storico esponente se ne vada. Come è paradossale, che il primo Presidente del Consiglio del cd. compromesso storico, con il Governo della c.d. non-sfiducia del ’76, venga meno all’inizio del Governo Letta, che molti vedono come la riproposizione moderna di quella fase storico-politica. Il giudizio sul senatore è molto complesso ed articolato, e probabilmente non saremo mai in grado di formularne uno corretto. Troppi sono i segreti che vanno via con la sua scomparsa. Ed a prescindere da questi, giudicare la figura dell’unico politico italiano sempre presente dalla nascita della Repubblica in poi, non è operazione semplice. Perché Andreotti dall’Assemblea Costituente ai giorni nostri, ha sempre fatto parte del Parlamento, prima come deputato, poi come senatore. Non è nostra intenzione dare un giudizio sul politico, bensì dare solo alcuni strumenti utili, per evitare che il giudizio sia parziale. Ed uno degli aspetti da considerare è quello relativo alle inchieste giudiziali di cui il Senatore è stato protagonista. Il processo per antonomasia in cui Andreotti ebbe ruolo di imputato è, sicuramente, quello per associazione mafiosa. La conclusione è nota a tutti. Mentre la prima sentenza, dell’ottobre del 99, lo assolveva completamente, quella di appello, di poco più di 10 anni fa, 2 maggio 2003, arrivava ad esiti diversi. Prescrizione dal reato associativo (associazione semplice, che quella mafiosa, il famoso 416bis, fu introdotto solo nel 1982), riconosciuto fino al 1980, assoluzione per i fatti successivi a quella data. La Cassazione confermò tale risultato nel 2004. Le rivelazioni dei pentiti circa il rapporto tra Andreotti e la mafia siciliana sono varie. Dal celeberrimo bacio tra il Senatore e Riina, peraltro mai confermato in dibattimento; alle dichiarazioni che lo volevano “punciutu”, ossia l’aver svolto il rituale di ingresso in Cosa Nostra; fino alle dichiarazioni di Brusca secondo cui Andreotti avrebbe dato l’assenso ad omicidi eccellenti. Senza contare la testimonianza del responsabile della sicurezza dello stesso Andreotti, che riferì dell’incontro tra il Senatore ed il boss Manciaracina, uomo di fiducia di Riina; incontro ammesso dallo stesso Andreotti. Dalla mole impressionante di dati, scaturiti dal lavoro investigativo, però, si individuarono le prove della partecipazione del Senatore all’associazione solo fino al 1980. A questo proposito, per inquadrarne meglio la posizione, la Corte di Cassazione, nella sentenza che confermò quella di secondo grado, scrisse “Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi della mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione, sviluppatasi anche attraverso l’opera di Lima, dei Salvo e di Ciancimino, oltre che nella ritenuta interazione con i vertici del sodalizio (basti pensare, ancora una volta, il suo riferimento alla vicenda Mattarella), ……Ne deriva che la costruzione giuridica della Corte territoriale resiste al vaglio di legittimità proprio perché essa ha interpretato i fatti di cui è processo -esprimendo tale suo convincimento in termini che lo rendono non censurabile in questa sede – nel senso che Andreotti, facendo leva sulla sua posizione di uomo politico di punta soprattutto a livello governativo, avrebbe manifestato la propria disponibilità – sollecitata o accettata da Cosa Nostra – a compiere interventi in armonia con le finalità del sodalizio ricevendone in cambio la promessa, almeno parzialmente mantenuta, di sostegno elettorale alla sua corrente e di eventuali interventi di altro genere.” Ma le rivelazioni dei pentiti su Andreotti non diedero il via solo al processo palermitano. Fu una rivelazione di Buscetta, infatti, ad avviare il processo di Perugia, sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, in cui Andreotti fu accusato di esserne il mandante. Pecorelli, direttore del giornale OP (osservatorio politico), fu ucciso nel marzo del 1979, e secondo l’accusa il mandante fu proprio il Senatore a vita, temendo che la campagna stampa contro di lui, iniziata dal giornalista, potesse compromettere la sua carriera politica. Il processo Pecorelli ebbe un esito altalenante, tra i vari gradi di giudizio. Assolto in primo grado, Andreotti si vide condannato in Appello, a 24 anni. Famosa la sua battuta appena seppe della sentenza, in cui ringraziò i giudici di dargli tutti quegli anni di vita. La conclusione del caso fu un nuovo ribaltamento in Cassazione. Sentenza di secondo grado annullata senza rinvio, ed assoluzione definitiva. A fronte dei processi per i gravi reati di cui è stato accusato, Andreotti ebbe una condanna definitiva nel 2010, per il reato di diffamazione nei confronti del giudice Almerighi, che venne definito dal Senatore a vita “pazzo” e “falso teste”. Peraltro la condanna, a € 2000 di multa, risultava coperta interamente da condono. Ma a prescindere dai fatti che finirono davanti ad un organo giurisdizionale, la figura di Andreotti è stata tirata in ballo anche in altre vicende oscure della storia della Repubblica. Così la figura del Senatore a vita è presente, nel 1974, ai margini del golpe Borghese. All’epoca dei fatti, Andreotti era il ministro della difesa, e ricevette dal numero due del SID, Generale Maletti, un dossier sul golpe; dossier che egli consegnò alla magistratura. Solo che lo stesso fu prima epurato di alcuni nomi – pulitura del testo che fu ammessa dallo stesso Andreotti, a sua detta per evitare conseguenze nocive alle persone citate, e comunque trattandosi di parti “inessenziali” per il processo. Nelle pari cancellate vi erano riferimenti a Licio Gelli ed alla P2, nonché notizie su un patto tra Borghese e la mafia siciliana, patto successivamente confermato dallo stesso Buscetta. Inoltre da alcuni atti americani si scoprì, successivamente, che il nome di Andreotti era stato fatto agli stessi americani, come garanzia per il nuovo governo post-golpe. Non vi sono, però, prove che Andreotti fosse a conoscenza di ciò. D’altra parte che il nome di Andreotti fosse stato accostato alla loggia P2 è notizia non nuova. Nel 1988 la vedova del banchiere Calvi affermò che secondo il marito il vero capo della P2 fosse Andreotti in persona. Anche se la notizia venne, successivamente, smentita dallo stesso Gelli, che invece affermò che il Senatore fosse il capo di un servizio segreto parallelo, noto come l’anello. Andreotti non volle mai rispondere alle accuse di Gelli. Così come, secondo altre accuse, mai portate in giudizio, ma arrestatesi al livello di ricostruzioni giornalistiche, Andreotti sarebbe stato coinvolto nell’omicidio di Michele Sindona. Che Andreotti conoscesse ed avesse rapporti con molti dei soggetti gravitanti attorno alla banca di Sindona, e con lo stesso banchiere siciliano, lo si può leggere, già, nelle sentenze perugine e palermitane. Del resto lo stesso Andreotti parlò sempre in termini positivi di Sindona. Tornando, invece, ai profili più strettamente giudiziali, il Senatore non fu mai toccato dalla vicenda tangentopoli. Questo un riassunto degli episodi più importanti, dal punto di vista processuale, che colpirono l’esponente della DC. Ognuno potrà darne il peso specifico che vuole, nel giudizio complessivo sulla figura dell’uomo di Stato. Vi sarà chi considererà questi aspetti dirimenti per un giudizio, comunque, negativo; e chi, di contro, non li riterrà più importanti di altri meriti, strettamente politici, dello stesso. Per quanto ci riguarda, un giudizio politico non può mai prescindere dall’aspetto etico, e con questo ci riferiamo a qualcosa che va ben oltre gli esiti dei processi, comunque inquietanti. Con questo non abbiamo alcuna intenzione di sottoscrivere le espressioni di giubilo sulla morte del Senatore, che già circolano in rete, trovandole, comunque le si voglia vedere, disgustose. Avremmo preferito che Andreotti vivesse il più a lungo possibile, e magari che ci avesse regalato la sua verità su molte vicende oscure della nostra storia. Comunque la si voglia vedere, oggi si è chiusa un’era.