IL GIARDINO DI ERICE: WARHOL, ARTISTA, ICONA O CELEBRITA’?

Milano – Palazzo Reale- mostra di ANDY WARHOL dal 24/10/2013 al 09/03/2014 La mostra è curata Peter Brant, amico di Warhol e collezionista delle sue opere, e da Francesco Bonami, critico d’arte. Il percorso è costituito da 150 opere di questo famosissimo artista, (nato a Pittsburgh, il 6 agosto 1928 e morto a New York, il 22 febbraio 1987) fondatore della Pop Art, tra le quali tele, fotografie e sculture molto rappresentative e appartenenti alla Brant Foundation (Greenwich – Connetticut). Peter Brant fu un grande amico di Warhol (tutto iniziò con l’acquisto di un disegno della “Zuppa Campbell”) e condivise con lui gli anni più importanti della sua vita artistica e sociale. Fu lui che, alla morte dell’artista, acquistò “Interview”, rivista fondata da Warhol. Ideerà anche la cosiddetta “Factory”, un luogo che sarà una sorta di comunità nella quale si incroceranno la vite umane di artisti, musicisti, registi e attori. Posto dove arte e società si incroceranno simbioticamente. All’ingresso della mostra si viene dotati di audio-guide le quali, nei quadri indicati da un numero e il simbolo delle cuffie, consentono di avere informazioni più dettagliate. Nelle loro informazioni anche le spiegazioni del critico Francesco Bonami, che in maniera coincisa ma esauriente, e con un linguaggio diretto ed immediato, come l’arte di Warhol, accompagna i visitatori verso una conoscenza più approfondita di questo grande creativo degli anni ’70-’80 (sua la spiegazione anche in una saletta a parte che ospita un video che narra della vita e della filosofia dell’artista). Il percorso si dipana coinvolgendo il visitatore in una magia di colori e forme, mentre nelle sale riecheggiano le canzoni dei “Velvet Underground e Nico”, artisti amici e amati da Warhol, come a voler far rivivere attraverso tutti i sensi, compreso l’udito, le atmosfere nelle quali Warhol visse e creò. Del resto non è difficile immedesimarsi nelle sue sensazioni. La sua arte nasce e si nutre di semplicità proprio perché vuole poter arrivare a tutti e per farlo attinge alle cose più note, sia che si tratti di attori che di oggetti. Nella prima sala trionfa, sulla parete di fronte l’entrata, un grande quadro di Liz Taylor. A tal proposito, seguendo i suggerimenti dell’audio-guida, ascoltiamo ciò che lo stesso Warhol disse… “sarebbe stato bello reincarnarsi in un anello di fidanzamento su un dito di Liz Taylor”. Il quadro è contornato da altri quadri che rappresentano scarpe, farfalle. Vi è anche il segno zodiacale del cancro e un James Dean. Guardandosi intorno, in un’altra parete vediamo anche delle natività molto particolari. In una vi è addirittura un Gesù bambino con un gattino e una pecorella. Vicino vi sono inoltre due scarpe-scultura con disegni molto colorati e un po’ infantili, simili ad opere miste tra il pachwork e i disegni dei bambini. Da subito si evidenzia l’importanza che egli dava alle immagini come simbolo, schiavo della sua genialità e di ciò che potevano rappresentare le icone di quel tempo. Ci si fa catturare dall’incisività e dal significato immediato di immagini semplici e già note, comuni nella vita della gente. Warhol le rivisita e le propone per donarle al pubblico e per far si che diventino proprietà di chi le guarda. Considera la fama l’elemento fondamentale della sua arte e della sua vita, anche la fama degli oggetti. Anzi considera una Marylin Monroe, una Monna Lisa alla stregua degli oggetti che dipinge perché ciò che le rende delle opere d’arte è la fama stessa, il grado di popolarità. L’opera d’arte diviene qualcosa al totale servizio dell’osservatore. I suoi oggetti, presi tra quelli più noti del consumismo, stimolano il pubblico attraverso la loro semplicità e immediatezza, priva di messaggi aulici ma proprio per questo colmi di un grande senso di libertà. Le sue produzioni non suscitano più uno stato di contemplazione di un’opera d’arte. L’opera non è più un action painting, l’artista diviene un comunicatore di massa. La zuppa Campbell, le bottiglie di Coca Cola e altri prodotti commerciali famosi appartengono alle famiglie che li acquistano e Warhol semplicemente li rende immortali grazie alla loro stessa fama e immortalandoli nelle sue opere. Sono popular. Ecco che nasce la Pop Art. Del resto la sua carriera comincia come grafico per riviste famose come “Vogue”, e “Harper’s Bazar”, in contemporanea con la sua produzione pittorica. Quindi la sua carriera nei giornali viaggia di pari passo con il suo lavoro di artista. Anzi l’una influenza l’altra e viceversa. Francesco Bonami parla di Warhol come un artista permeato dall’“ingenuity”, un termine molto “americano” (nelle varie sale incontriamo un dipinto di “Dick Tracy”, fumetto americano famosissimo negli anni ’40, che rappresenta il tipico poliziotto americano esemplare e pieno di valori). La sua genialità quindi nasce dall’ingenuità, dal porsi nei confronti del mondo come i bambini, quindi trasportato ed ispirato da una gran voglia di giocare. Tra le varie opere è presente un suo autoritratto (ne incontreremo altri lungo il percorso) tutto di verde, con occhiali, come fosse una star, tratto da un autoscatto. La sua attrazione per la celebrità e il suo narcisismo sono evidenti, sebbene ciò sia giocato con la consapevolezza di una non avvenenza fisica, che egli stesso supererà divenendo un’icona come lo sono le star che immortala nei suoi dipinti. Diceva di sé stesso “mi piace essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto, perché qualcosa di interessante accade sempre”. Prima di lui l’espressionismo astratto, come quello di Pollock, cercava nelle opere d’arte il sublime, il caos. Warhol, invece, cerca la realtà, non il sublime. La pura genialità di Warhol risiede nella capacità di guardare oltre il suo tempo. E’ un visionario, un precursore degli avvenimenti, una sorta di Cassandra, perché con 20 anni d’anticipo evidenzia il mito della superficialità e cambia il modo di approcciare l’opera d’arte. Come viene evidenziato ascoltando l’audio-guida “è famoso come Picasso ma forse anche più di Picasso, perché di Picasso alcune opere non le si riconoscono. A Warhol è facile attribuire le opere d’arte”. Ci sono anche delle Monna Lisa, dipinte ma non per la loro bellezza ma perché Warhol la considerava l’opera d’arte più famosa al mondo. Anche qui il mito della celebrità che lo accompagnerà sempre lungo la sua vita è il punto focale della sua arte. Tra le opere vediamo una rappresentazione del dollaro, immagine di ricchezza. Ciò sottolinea il suo rapporto morboso col denaro. Infatti diceva di sé “ sono un artista commerciale e voglio finire come un artista d’affari”. Cresciuto in povertà, seppur divenuto un artista famoso e pieno di soldi, era solito annotare su un taccuino anche i soldi che doveva sborsare per prendere un semplice taxi. Inoltre alla morte della madre si dice che fece una telefonata al fratello affinchè non spendesse troppo per il suo funerale. Tutto ciò pur amandola tantissimo, anche se negli ultimi anni, a causa della semplicità e del distacco evidente della donna dal mondo patinato nel quale era introdotto Warhol, la fece vivere in uno scantinato, sotto gli appartamenti nei quali viveva lui. Ma il rapporto con la madre risulta evidente anche dai dipinti di una serie di fiori molto semplici, stilizzati. Dice “noto sempre i fiori” curioso ed ingenuo, perché la bellezza è ovunque. Probabilmente voleva attingere al ricordo della madre che dopo la morte del padre, per racimolare qualche soldo, preparava fiori di cartapesta. Tra le varie cose che lo attraggono è molto affascinato dal cinema, infatti nella mostra è presente un fotogramma di un film di Dracula, con protagonista Bela Lugosi. Riguardo al cinema diceva “la vita è irreale e il cinema è reale”. Quando inizia la serie di serigrafie comincia anche a girare dei film tanto che nel 1964 vincerà un Indipendent Film Award. Dopo la morte di Marilyn comincia a dedicarsi alla sua figura. Tra i vari ritratti ne sceglie uno fotografico tratto dal film “Niagara”. Infatti, continuando il nostro percorso, in una sala successiva troviamo la Marilyn liquirizia del 1962, pittura acrilica e inchiostro serigrafico su lino. Menzione a parte merita la “Shot light Blue Marilyn”, opera presente nella mostra e che campeggia nel manifesto della mostra stessa. Chiamata così per un motivo molto particolare. Osservandola si nota al centro della fronte una macchia più bianca. Si tratta di un restauro. Infatti accadde che un giorno, nella Factory, entrò una donna. Warhol aveva messo in basso, appoggiati alla parete, una serie di ritratti di Marilyn. La donna chiese a Warhol se poteva “shot” le Marylin. “Shot” in inglese significa fotografare ma anche sparare. Pensando volesse semplicemente fotografarle Warhol diede il suo consenso. Così la donna estrasse dalla borsetta una pistola e sparò alle Marilyn. Una sala molto interessante è quella delle polaroid, con le foto di attori e celebrità famose in quegli anni, tra i quali Arnold Schwarzenegger, Liza Minnelli, Silvester Stallone, anche sportivi famosi e non ultimo una serie di foto ritraenti lo stesso Warhol, autoritratti, vestito con parrucche e abiti femminili. Da un punto di vista delle sue opere una menzione a parte meritano le “ oxidation painting”. Si tratta delle uniche opere che sono riconducibili all’astrattismo, quasi ad avvicinarsi alla “sgocciolatura” di Pollock. Sono dipinti che venivano prodotti da una pittura a base di rame che veniva passata come base su una tela grande e nella quale veniva poi orinato sopra. Anche altri ragazzi della Factory venivano invitati da Warhol ad orinare sopra, cosa che li emozionava per il fatto di sentirsi partecipi della realizzazione di un’opera d’arte. Il contatto tra l’orina e la pittura a base di rame creava delle ossidazioni con colorazioni particolati fatte da variazioni di ramato. Come si può evincere in questo caso ma anche nelle altre opere, l’aspetto trasgressivo è sempre molto presente nella sua concezione di creatività. Morirà a causa di uno stupido intervento chirurgico, entrando nella leggenda. Ma già nel corso degli anni svilupperà un rapporto molto estetico con la morte. L’incontro tra la vita e la morte trova un punto focale nella realizzazione della grande serigrafia “dodici sedie elettriche”, ognuna con un colore principale. Egli diceva che “guardiamo alla sedia elettrica come guardiamo al crocifisso”. La stessa morte già lo sfiorerà quando Valeria Solanas, una femminista che aveva frequentato la Factory, gli sparerà riducendolo tra la vita e la morte, motivando il suo gesto col voler eliminare una persona che influenzava, anzi plagiava, i giovani e la loro creatività, piegandoli al suo volere col suo carisma. Egli viene rianimato e salvato in extremis, ma il suo rapporto con la vita e il dolore cambia. Inizierà ad imbottirsi di antidolorifici per paura del dolore. Ci sarà sempre un approccio infantile e disincantato in ogni esperienza che egli vivrà, quasi come se fosse sospinto da un sogno. Infatti egli, che caratterialmente era molto pettegolo, amava dare di sé l’immagine di un uomo che galleggiava sulla vita. Disse, dopo quella terribile esperienza, “ prima di essere colpito ho pensato di stare un po’ qua e un po’ là. Come se guardassi la mia vita alla televisione. Dopo ho avuto la certezza che stavo guardando la televisione”. La sua vita sarà sempre simile ad un incredibile e perpetuo set cinematografico. Ricco di colpi di scena, come se Warhol fosse protagonista di un film. E il suo sogno di divenire una celebrità alla fine si avvererà divenendo un mito e, quindi, immortale.