POVERI MISERI RESTI

Roma, 2018. Una donna anziana, traversando la strada con il semaforo rosso, viene travolta da una automobile. Il corpo della signora resta a terra, riverso nel modo scomposto in cui è atterrato sull’asfalto. Una scarpa poco distante da lei, e vicino un vassoio di paste rovesciato, dalla carta colorata cola ancora del liquido, forse della crema. Gli agenti della Polizia Locale intenti a rilevare l’incidente devono chiedere ausilio per allontanare i curiosi, in attesa di poter provvedere alla sottrazione della salma dalla curiosità della gente. Ci sono anche i parenti, i nipoti ed i figli della signora, in lacrime, straziati. E ad un certo momento il silenzio scende sulla scena, un istante solamente, il tempo per tutti di accorgersi di una ragazza che sta scattando delle foto con il suo telefono. Dopodichè inizia la lite, con i parenti indignati ed infuriati che si scagliano contro la giovane, cercando di impedirle di rubare quelle immagini, di dissacrare il momento. Alla fine si scopre che è la fidanzata di un giornalista, le immagini erano per il suo compagno, era solo lavoro, o quasi. Nessun sentimento, neanche quello minimo della morbosità. Semplice lavoro, sono solamente fotografie, non è un crimine scattare foto. Non è un crimine. Un alibi di ferro per chi ha perso i sentimenti, il senso della decenza. Forse avevano ragione i nativi americani, i pellirosse, quando temevano le fotografie, pensando che rubavano l’anima delle persone. Ma non quella dei soggetti fotografati, bensì quella di chi scatta la foto. Perchè alla fine è accaduto, la possibilità di cogliere ogni momento, ogni aspetto, ogni istante, ogni emozione. Era già accaduto che la necessità individuale travalicasse il rispetto , il dolore, e le immagini di un cadavere su una spiaggia, coperto da un lenzuolo, sotto il sole, con intorno i bagnanti intenti nel godersi la loro meritata giornata di vacanza, fece indignare molta gente nel 2017. Sembrò, osservando i servizi televisivi, di aver assistito ad una scelta di un film di fantascienza, un mondo popolato da persone senza emozioni, ognuno attento solo ai propri diritti. Sembrò un episodio isolato, ed invece poi abbiamo iniziato a trovare pubblicate foto sempre meno umane, ed a leggere commenti disumani su foto di disastri. Non siamo tutti così, ce lo diciamo spesso. Molti si limitano a prendere immagini di ciò che mangiano, di cosa stanno facendo, della nonna che dorme con la bocca aperta. Molti si dicono che in fondo è un fatto di vita, che esiste un diritto di cronaca, che 1.000 likes sulla propria pagina valgano più del dovere della civiltà e della compassione. E lentamente il declino morale è iniziato, senza un vero responsabile, non si sa chi sia stato il primo ad oltrepassare la soglia morale ed etica, ma ciò che deve preoccupare a questo punto non è il passato, ma il presente, perchè leggendo di disastri con interventi ritardati perchè si è preferito scattare qualche foto prima di intervenire non si può non vacillare. La vanità è divenuta il peggior vizio capitale, e 5 minuti di celebrità sono l’obiettivo principale, in una attività emozionale ormai divenuta basica. Ma la cosa pìù particolare è che queste foto non sono veri ricordi, perchè non verrano stampate, per essere riguardate nei momenti in cui la nostalgia preme sulla nostra anima. Saranno esposte in bacheche virtuali, dove resteranno immerse in un limbo a cui tutti possono accedere ma di cui non resterà traccia quando si spegnerà la luce, quando si dovrà impacchettare tutto tranne ciò che è possibile stringere tra le mani. Realtà illusorie, vite dalla trama scomposta, diverse identità per gli stessi soggetti. E si continuerà a non provare più alcuna emozione per quei poveri, miseri resti. Per quelle persone che hanno perso la loro umanità e non si rendono conto che ad essere morti sono loro, morti dentro, poveri, miseri resti di ciò che una volta era l’umanità.