SALVIAMO LO SPETTACOLO ITALIANO

SALVIAMO LO SPETTACOLO ITALIANO

Roma, aprile 1945. In una nazione da ricostruire l’ammiraglio E.W. Stone, dell’esercito alleato, durante una riunione per decidere le sorti dell’industria cinematografica italiana, disse ai presenti “il cosiddetto cinema italiano, essendo stato inventato dai fascisti, deve essere soppresso. E con esso, quindi, devono essere distrutti tutti gli strumenti che hanno contribuito a questa invenzione. Tutti, compresa Cinecittà. Non c’è mai stata un’industria del cinema in Italia, non ci sono mai stati degli industriali del cinema. Del resto l’Italia è un paese agricolo, che bisogno ha di un’industria del cinema?”. Una affermazione che, in pratica, suonava come un de profundis per la settima arte in un paese che con i film aveva sognato, aveva pianto, aveva conosciuto il mondo, seppur in bianco e nero. In realtà si mirava a far arrivare in Italia le produzioni americane, fiumi di pellicole che avrebbero contribuito a lanciare anche in Italia l’american way of life, ed ovviamente, in patria, i distributori contavano su quei film, perchè a livello economico non c’erano rischi, solo incassi e dividendi. Per fortuna venne istituita, nel nascente laboratorio che stava riscrivendo la Costituzione, formato da personaggi di spicco della politica, la figura del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega allo spettacolo. Questo perché venne da subito capito che c’era bisogno di un unico interlocutore, qualcuno che, seppur sprovvisto di esperienza nel campo, sapesse in qualche modo annodare i fili, rivolgendosi ad esperti, a persone che conoscevano la materia. Dal 1946 al 1947 si alternarono 3 personaggi, che non rispondevano alle caratteristiche richieste, finchè nel giugno 1947 non venne nominato, su segnalazione di monsignor Montini, che diverrà Paolo VI, un giovane democristiano di nome Giulio Andreotti. Fu grazie a lui che, nel 1949, venne istituita la legge sul cinema, che garantì ai produttori di impegnarsi in progetti che, da li a poco, avrebbero portato alla nascita della Holliwood sul Tevere. Una legge pensata appositamente per dar ossigeno e risorse, per mettere le persone in grado di lavorare, perché Andreotti si rese da subito conto che il cinema era da considerarsi risorsa anche a livello economico, e non solo un espediente sociale, come era stato per gli anni antecedenti alla guerra. Si dirà che erano altri tempi, che le macerie della guerra erano rimovibili, che il nemico a quei tempi era visibile, mentre oggi ci si trova a dover contrastare un nemico invisibile, un virus che si diffonde in modo anomalo, insospettabile. Tutto vero, ma la problematica non nasce dal tipo di emergenza che ci si trova ad affrontare, bensì da chi deve affrontarla. Se attualmente le produzioni cinematografiche e televisive sono ferme, significa che si è fermata la fabbrica dei sogni e dell’intrattenimento, e non si può pensare solamente in termini economici o politici, in quanto certe situazioni vanno esaminate in modo collettivo. Così come per il mondo del pallone, le cui spinte sortiscono effetti sulla politica, anche il settore cinema deve essere considerato importante, facendo interagire addetti specializzati congiuntamente a medici. Durante il periodo del lockdown la gente, soprattutto la fascia anziana, ha avuto solamente una compagnia, la televisione, e se è vero che una minima percentuale di patiti di calcio si sono potuti rivedere sfide calcistiche storiche, la maggior parte della popolazione ha visto film, telefilm, programmi di intrattenimento. Tutto materiale girato in precedenza, quando gli studi erano frequentabili, quando il contatto non era proibito. Dovrebbe essere l’ANICA a premere, a proporre soluzioni, a chiedere incontri e tavole rotonde per uscire da una crisi che investe migliaia di persone. Dietro una qualsiasi produzione ci sono, attori e presentatori a parte, sceneggiatori e scrittori, schiere di tecnici, di autisti, di addetti alle costruzioni. Grazie al settore cine/tv lavorano industrie del catering, quindi la ristorazione, ed ancora altri micro settori che costituiscono il cosiddetto indotto. Si tratta del settore forse più invisibile e meno considerato dalla politica, quello dello spettacolo, ma forse i politici stessi dovrebbero chiedersi cosa sarebbe accaduto se, durante la quarantena, la gente non avesse potuto essere intrattenuta da ciò che si era prodotto in passato. Lo spettacolo riunisce arte, industria, e sociale in unico termine, anche se, per qualche commentatore, si tratta di una industria minore. Se non volete considerare i sogni considerate almeno la sostanza, e cioè che lo spettacolo vi ha aiutato a tenere in casa 60 milioni di italiani. Salviamo lo spettacolo italiano.