IL LAVORO, IL VIRUS, IL DUMPING DI FELICITÀ

IL LAVORO, IL VIRUS, IL DUMPING DI FELICITÀ

Il lavoronon è il nostro credo, comediceil buon Beppe Sala. Il lavoroè una nostra piramide di bisogni, un po’ come quella famosa diMaslow. Alla base,il bisogno indispensabile di sussistenza, di un reddito. Poi si sale per gradini verso necessità un po’ meno grezze:la socialità(pur superficiale) che il lavoro porta con sé, ad esempio. O ilsentirsi parte di un gruppo, di una squadra, di un obiettivo. La sensazione di fare qualcosa che serve alla società, perfino al mitico Pil se volete. Se si sale ancora nella piramide si arriva alpiacereche esso può comportare, anch’esso al suo interno a scalini: da quellomanuale e tecnicodi Tino Faussone, a quelloartigianalenel quale fortunosamente mi ritrovo io, su su verso quelloartisticoo discoperta(scientifica, archeologica, filosofica etc), che deve avere qualcosa di sublime. Passando per tante altre forme: come la cura degli altri, a qualsiasi livello. Quando ero ragazzo si diceva che il lavoro serviva a “realizzarsi”: un’espressione che non mi è mai piaciuta,come se senza fossimo irreali. Semmai dovremmo cercare di ricordarci che nel lavoro non ci sono solo divisioni di ceto (cioè di reddito)ma anche di classe, cioè di ruolo nelle dinamiche di produzione: da una parte chi ha un lavoro da cui trae prevalentemente senso o forse addirittura piacere, dall’altra parte chi ha un lavoro che gli dà prevalentemente frustrazione, se non schiavitù, e pulsioni di fuga. Poi c’èl’immenso sottoscala di chi un lavoro non ce l’hae quindi la schiavitù salariata la vede come un obiettivo, se non un sogno, esi adatta al peggiodi cui pure si costringe a esser contento, introiettando la schiavitù come un risultato. E questa forse è la sconfitta più grande di tutte, per tutte e tutti noi. Oggi piazza San Giovanni è vuota. È la prima volta che la vedo così, in un primo maggio. Ieri Libero ci spiegava che «finalmente è libera dalle zecche». Testuale. Solo per questo non vedo l’ora di rivederla di nuovo piena, con tutto il baccano che mi entra in casa. Ma non è solo per questo che è il Primo maggio più brutto. È per tutto il resto, e cioèla discesa di massa dalla piramideche un po’ è già avvenuta e ancora di più abbiamo davanti.Sempre più gente che scende, in disordine e senza speranza, dai lavori che amava verso quelli di pura sussistenza, e dalla sussistenza ai lavoretti, e dai lavoretti alla fame, interiorizzando ogni peggio come un meglio di niente.