IUS SOLI. INVISIBILI PER LA POLITICA

Si chiamano Easin, Mamadou, Dilkaran, Salomea. Frequentano le nostre scuole, sono nati tutti in Italia, sono amici dei nostri figli. Io li conosco tutti, uno per uno, conosco le loro abilità, le loro piccole debolezze, le loro paure… sì, perché molti di loro giocano a basket con i miei figli, e forse sono compagni di banco dei vostri, e qualche sera vengono pure a casa vostra ad allietarvi con un sorriso. Studiano nelle camerette con i vostri figli, ricevono una fetta di torta dalle vostre mani, vi salutano educatamente e poi tornano a casa.Eppure, per lo Stato italiano, sono invisibili.Sì, proprio invisibili, perché, quando tornano nelle loro case, devono buttarsi su giacigli improvvisati, perché la nazionalità dei loro padri impedisce loro di vivere con stipendi sufficienti, perché la diffidenza di molti di noi, a volte distratta dalla superficialità dell’opinione pubblica, ci spinge a considerarli stranieri, a non aiutarli quando loro non ce lo chiedono.Sono tanti, e ora che una legge, lo Ius soli, potrebbe restituire loro un minimo di dignità, garantendo un principio, quella del diritto alla nazionalità del paese in cui si è nati, qualche centinaio di politici distratti da altre incombenze ritarda la discussione, di fatto nega loro questo giusto riscatto.Appena ieri, un maestro elementare, Franco Lorenzoni, assieme a ottocento altri insegnanti di tutta Italia, ha portato avanti uno sciopero della fame simbolico, recandosi a scuola con un nastrino tricolore appuntato sul maglione.L’episodio ha fatto scalpore, ma c’è da chiedersi il perché. Forse perché gli insegnanti sono più vicini ai ragazzi nel momento del loro sviluppo? Forse perché ne intuiscono meglio di altri i disagi quando la Politica li ignora facendoli sentire come cittadini di serie B?Ora ci sono 5.000 firme a nome degli Insegnanti per la cittadinanza, impegnati per lo Ius soli e lo Ius culturae, ed è ancora possibile aderire all’iniziativa cliccando qui…Un segnale, forse poco più che simbolico, ma che parte proprio dalla scuola per sensibilizzare un mondo politico cristallizzato su un dibattito paludato e a tratti razzista, un segnale che parte da un luogo, la classe scolastica, dove molti bambini stranieri frequentano, spesso con impegno, pur sapendo di non aver la certezza, con l’attuale legge, di ottenere la cittadinanza italiana.Un’anomalia che indigna Lorenzoni, perché mina i fondamenti stessi del processo educativo, che deve per sua stessa natura dare valore e dignità ai pensieri e alle parole di tutte le bambine e i bambini che si hanno davanti, partendo da una premessa indispensabile per chi voglia educare: considerare tutti gli esseri umani portatori di uguali doveri e diritti elementari.Che senso ha insegnare una nuova materia come Cittadinanza attiva se poi la realtà contraddice alla radice la stessa costruzione di competenze di cittadinanza eguale per tutti?Per trasformare questi bambini in cittadini è necessario garantire a questi ragazzi di seconda generazione, che si trovano a vivere sospesi tra due mondi, la piena accoglienza come italiani, base indispensabile per sentirsi compiutamente parte della comunità nazionale, dando loro la possibilità di partecipare attivamente a quella integrazione tra diversi, che incontra difficoltà in alcune zone del paese e in alcuni quartieri delle nostre città, ma che nella maggior parte delle scuole è già realtà ed è premessa indispensabile per rendere più sicure le nostre città.Per un mese in tutte le scuole che aderiranno a questa iniziativa tutti i bambini saranno considerati italiani, aprendo uno strappo con la politica cieca dinanzi a una realtà che finora soltanto la scuola sembra toccare con mano.C’è da augurarsi che l’opinione pubblica e il mondo politico prendano esempio dalla realtà viva e applichino immediatamente un principio naturale come quello del diritto alla cittadinanza di chi si sente italiano dopo essere nato e aver frequentato le scuole nel nostro paese, senza dover aspettare l’annosa soglia dei 18 anni, quando dovrà sottoporsi a un’umiliante domanda che ne confermi burocraticamente ciò che la natura ha già stabilito.