LA CONCERTAZIONE, STRADA PERCORRIBILE

Non solo una road-map. Il documento programmatico presentato lunedì 2 settembre da sindacati e Confindustria indica con limpidezza un campo di lavoro condiviso, un cantiere entro il quale le parti sociali si dichiarano pronte a dare un contributo alla realizzazione di un disegno riformista organico e stabile che coinvolge allo stesso tempo la sfera istituzionale, quella economica e quella sociale. Una iniziativa che rafforza l’unità del fronte sociale e avvicina il traguardo di una responsabile concertazione con il governo su riforme strategiche non più differibili. Questa opportunità non va assolutamente persa. Bisogna proseguire su questa strada. Aprire una stagione nuova e concertata, in cui ogni attore sappia assumersi le proprie specifiche responsabilità. Un grande patto sociale, dunque, che parta necessariamente dal lavoro e dallo sviluppo. Come ha recentemente ricordato l’Ocse, la situazione economica è ancora molto grave. Il tasso di occupazione nelle zone deboli del Sud è sotto il 50 per cento, mentre la disoccupazione giovanile nazionale ha toccato il 40 per cento. Oltre tre milioni di ragazzi sono in condizione Neet, mentre la cassa integrazione viaggia da tempo sopra i cento milioni di ore mensili. Segno di una crisi di sistema che affossa tanto le Pmi quanto le grandi imprese. Da questa condizione se ne esce insieme, o non se ne esce affatto. Vanno quindi valutate con molta attenzione le proposte di merito delle parti sociali. E sopra ogni cosa va tenuta salda la bussola della coesione sociale e territoriale. L’idea che senza il riscatto dei più deboli, il paese non si salva. Il traguardo ultimo di questo cammino comune deve essere l’attivazione di processi di sviluppo in grado di creare nuova ricchezza e nuovo lavoro tra le realtà sociali più deboli. Significa dare concretezza a una riforma fiscale che alleggerisca il carico sulle fasce svantaggiate. Dar forma, insieme, ad una politica industriale ed infrastrutturale in grado di sostenere settori produttivi strategici per la crescita economica e l’occupazione. Combattere sprechi e opacità nella pubblica amministrazione, ridimensionando i centri di spesa politico-istituzionali e rivalutando il concetto di partecipazione nei processi di controllo del pubblico impiego. Tre pilastri imprescindibili a cui deve aggiungersi un forte riferimento alla necessità di riformare il sistema capitalistico su fondamenta più eque e partecipative. La strada maestra si chiama democrazia economica. In tema di relazioni industriali vanno perseguiti strumenti capaci di garantire la partecipazione dei lavoratori alle decisioni strategiche d’impresa, elemento qualificante del sistema tedesco, che è l’unico di questi tempi a vantare risultati positivi in termini di occupazione e di produttività. Modello peraltro pienamente prefigurato dall’articolo 46 della nostra Costituzione. Ma tali politiche e strategie possono dare frutti concreti e duraturi solo in un contesto di ritrovata e piena cooperazione tra governo e parti sociali. Nessun grande disegno costituente è possibile senza il pieno coinvolgimento delle forze sociali. Dal dialogo operoso tra corpo sociale e governo dipende la capacità di fare riforme strutturali ed eque, e di infondere una fiducia individuale e collettiva, indispensabile ad attirare investimenti e creare nuova occupazione. Il Governo Letta ha tutte le carte in regola per raccogliere questa sfida. Da parte sua, il Partito democratico deve capitalizzare il tempo che lo separa dal congresso per intestarsi convintamente la battaglia del riformismo partecipato e della democrazia economica. Il Pd è l’unico partito in grado di farlo, avendo nel proprio Dna le caratteristiche necessarie a dialogare con tutte le aree del sociale. Comprendere e valorizzare questa ricchezza significa porsi sulla scena politica da protagonisti. E dare un contributo determinante lungo la stretta ma indispensabile strada della concertazione.