LA FOBIA SOCIALE, QUANDO ESSERE ULTIMI FA BENE.

DI ALBERTO TOMMOLINIIl disturbo da attacchi di panico, come molti di voi già sapranno, non si limita a farci passare un bel quarto d’ora di puro terrore, il che sarebbe il minimo, ma ha conseguenze devastanti sulla qualità della nostra vita. Gli attacchi di panico innescano un lento e inesorabile logorio della propria autostima, dell’amor proprio e di tutte quelle virtù o qualità che un tempo ci rendevano sicuri, positivi, determinati, intrepidi e brillanti. In sostanza, si passa da una condizione di semionnipotenza a una di completo disarmo, scoramento, sconfitta e umiliazione. Ci si guarda allo specchio e si prova un sentimento di rabbia mista a paura. Non ci riconosciamo più, non siamo noi quelli che abbiamo di fronte, non ci appartiene niente di quello sfigato che sta lì impalato ad attendere il nulla. Capita anche di sputare (letteralmente: io l’ho fatto più di una volta) su quello specchio, perché ci facciamo schifo, perché ci odiamo più di quanto ci amassimo in precedenza. Il timore del confronto con gli altri diventa anch’esso un enorme ostacolo al vivere quotidiano. Ed è proprio qui che subentra la fobia sociale. Si ha paura di non essere all’altezza delle persone e delle situazioni che, per lavoro o per diletto, dobbiamo incontrare e affrontare. Un incubo, o quasi. Al lavoro mi capitava spesso di trovarmi in difficoltà con un cliente perché magari troppo esigente o, nel caso di una donna, avvenente. Ma non era timidezza, che è ben altra cosa. In quei momenti l’ansia cominciava a fare il suo sporco lavoro: vertigini, eccessiva sudorazione, formicolio agli arti, tachicardia, dispnea. Che fare? Io, solitamente, inventavo una scusa e mi mettevo al riparo sperando che il panico passasse, cosa che accadeva molto di rado. La maggior parte delle volte finivo col tornare a casa, ma puntualmente la storia si ripeteva e così preferivo tagliare la testa al toro: dimissioni irrevocabili. Come mai accadeva tutto questo? vi chiederete. Perché quando tu credi ciecamente di non essere nulla, di non avere alcuna qualità, pregio, talento, ti senti una cacca anche di fronte a una cacca vera, intesa come deiezione canina (e scusate il grecismo). Giocoforza non riesci a reggere alcun confronto, ad essere disinvolto, spontaneo, naturale ma, al contrario, ti senti in gabbia, alla mercé finanche del giudizio del più sfigato tra gli sfigati. Il bello è che la tortura continua a casa, quando, sempre davanti a quello specchio, ti condanni per la totale assenza di personalità di cui hai vergognosamente fatto mostra a Tizio o Caio (ma anche Tizia o Caia). Non riesci a perdonarti. Non lo accetti nel più assoluto dei modi. Questo atteggiamento di rifiuto nel riconoscere il tuo status di “malato” non fa altro che accrescere quel senso di inadeguatezza che ti rende distante dalla realtà dei fatti. Di male in peggio. Personalmente evitavo qualsiasi situazione che avesse potuto mettermi in competizione con eventuali sconosciuti. Declinavo inviti a cene o compleanni, serate in discoteca o appuntamenti con donne che mi interessavano e alle quali avrei avuto piacere di mostrare le mie vere qualità e capacità. La fobia sociale è un disturbo d’ansia forse molto più diffuso del DAP e che non sempre è conseguenza di quest’ultimo. E’ ormai noto a tutti che viviamo in un contesto sociale dove l’imperativo è quello di arrivare primi, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo. Smorzare l’ansia della ribalta può essere un passo importante verso la riappacificazione con se stessi e con gli altri. Ma abituarsi ad essere ultimi è un lusso che solo in pochi possono concedersi. Essere ultimi, in definitiva, vuol dire essere liberi.