LA PIU’ BELLA SCALATA DELLA MIA VITA

LA PIU’ BELLA SCALATA DELLA MIA VITA

La giornata era bellissima, non particolarmente calda ed ero in grande forma. Fino ai piedi del passo, eravamo tutti compatti, come soldatini disciplinati. In realtà, nessuno voleva sprecare inutili energie in attacchi fulminei quanto controproducenti. Poi quando la salita cominciò a farsi dura, iniziarono le prime scaramucce. Prima si lanciò in una fuga solitaria un biondo Olandese, poi uno Svizzero ed infine un paio di Colombiani. A metà strada, riuscirono ad accumulare un vantaggio di non meno di un minuto. Troppo poco per sperare di arrivare da soli al traguardo situato sulla cima di quel passo. Ad un certo punto la maglia gialla, il mio capitano, mi fece un cenno d’intesa. Toccava a me far ripartire l’azione di inseguimento ai due fuggitivi. Non ero più tanto giovane, ma quando la montagna saliva, sentivo che le mie gambe potevano “volare” più di quelle degli altri e questo il mio capitano lo sapeva benissimo. Feci uno scatto, poi un altro ed infine al terzo tentativo trascinai nella mia scia una mezza dozzina di corridori, fra cui la maglia gialla. Impressi un’andatura notevole al gruppo ristretto appena formato, tanto che dopo alcuni tornanti, ci ritrovammo in quattro. Restavano poco meno di cinque chilometri all’arrivo, la fatica cominciava a farsi sentire ma l’energia che avevo in corpo era ancora tanta. Il dislivello stava crescendo, ma non era il caso di mollare…anzi bisognava rilanciare l’azione. Superato un tornante, riuscimmo ad intravvedere i fuggitivi. Ormai erano a meno di un centinaio di metri da noi. Una volta raggiunti si sfilarono dal nostro gruppetto. Erano “scoppiati”. Al cartello dei tre chilometri, il mio capitano fece uno scatto e partì come un razzo. Solo io ed il suo primo avversario in classifica gli stemmo a ruota. Poi ad un paio di chilometri dalla vetta, anche quest’ultimo mollò…pur restando non troppo distante da noi. Ma la sfortuna era in agguato!La strada si faceva sempre più stretta e le ammiraglie ormai erano lontane davanti a noi. Dopo l’ennesimo tornante, il mio capitano forò. Il suo avversario era ancora troppo vicino, era in gioco la vittoria al “Tour”…bisognava prendere una decisione e fui io a prenderla. Scesi dalla bici, abbracciai il mio capitano e gli dissi: “Prendi la mia bici e vai…corri più forte che puoi!” Lui mi guardò con un sorriso e senza tardare oltre inforcò il mezzo e “volò” verso la cima. Mi voltai e vidi il suo avversario che stava venendo su. Inforcai a mia volta la bici del mio capitano e malgrado la foratura, ero ben deciso a giungere al traguardo lo stesso. Correre con una gomma forata è davvero un’impresa indicibile in quanto a fatica e spirito di sacrificio. Ormai l’avversario del mio capitano mi aveva raggiunto. Gli stetti a ruota, superammo il cartello dell’ultimo chilometro col mio capitano prossimo ad una storica doppietta, vittoria di tappa e trionfo nella più importante corsa ciclistica del mondo. Ma io quel secondo posto, lo volevo! Lo volevo a tutti i costi…Avevo ancora energie da spendere…sentivo che i muscoli mi stavano scoppiando, la testa era sempre più pesante…cinquecento metri…quattrocento…trecento…il respiro si faceva sempre più affannoso…finché superammo praticamente a braccetto quella maledetta linea…quella maledetta vetta! Incredibile! Ce l’avevo fatta! Per una manciata di centimetri ero giunto secondo ed il mio cuore stava scoppiando dalla gioia! Fui portato in trionfo dal mio capitano che mi volle sul podio. Poi, per giorni e giorni si parlò più di me che di lui, di un piccolo gregario proveniente da un paese sperduto del Veneto, che si era sacrificato per la vittoria del proprio capitano e che aveva fatto l’impresa di riuscire a giungere al traguardo secondo con una gomma forata!