MADRI AL LAVORO, E’ ANCORA BUIO PESTO

MADRI AL LAVORO, E’ ANCORA BUIO PESTO

Sulle pagine nazionali dei giornali è rimbalzata la notizia che un piccolo imprenditore padovano (dieci dipendenti, otto donne) ha deciso di dare più o meno una mensilità aggiuntiva a chi fa figli. Sostiene, l’imprenditore, che i figli “migliorano il clima aziendale”. Questa notizia fa il paio con quella di ormai un anno fa, che fece clamore sui media, in cui un’altra azienda aveva assunto una dipendente al nono mese di gravidanza (“È brava, possiamo aspettarla”). Non siamo contente: fa tristezza che questi casi siamo così “clamorosi” perché in assoluta controtendenza con il mercato del lavoro, che invece allontana le donne che hanno bambini, o che pensano di sposarsi. Che dal 2011 al 2016 ben 115mila donne, soprattutto neo-mamme, abbiamo dovuto lasciare il lavoro, infatti, non desta altrettanto scalpore: si sa. È così. È così ovunque? Macché. In Europa l’Italia è agli ultimi posti per “capacità di valorizzare il talento femminile”. Ed è un problema che riguarda soprattutto chi è negli scalini bassi del mercato del lavoro, ma che colpisce – sia pure in misura minore – anche le donne che sono riuscite a fare carriera, e persino le manager e le imprenditrici. Tanto sentito che recentemente i “Giovani industriali” in un loro convegno, hanno dedicato una sessione al tema “Coniugare genitorialità e imprenditoria” dove la responsabile dell’iniziativa dice: “Non un problema da risolvere, la maternità non può essere considerata un problema, ma un’opportunità che viene offerta per cambiare il punto di vista e acquisire nuove competenze”. Ma il problema, è evidente, c’è e bello grande… Solo che finalmente se ne parla. Qual è la nostra situazione è – ahinoi – noto: la percentuale di 30-34enni con un diploma è del 32,5% per le donne rispetto al 19,9% per gli uomini (lo dice l’Istat), la carriera universitaria è migliore per le donne (lo dice Almalaurea), solo il 59,2% delle donne neolaureate lavora contro il 64,8% per gli uomini (e questo è di nuovo l’Istat). Sono (anche) questi numeri che ci spingono in fondo alla classifica nel confronto con gli altri Paesi europei: mentre i Paesi del Nord Europa hanno una occupazione femminile ben oltre il 70%, noi – secondo Eurostat – siamo al 48% (peggio di noi solo la Grecia). Un dato (e una considerazione) in più. Tra i Paesi più virtuosi c’è l’Olanda, dove tra le donne è alto il part-time. Anche da noi è alto. C’è un’unica differenza: in Olanda è soprattutto una scelta di vita (solo per il 6,5% delle lavoratrici la scelta è stata obbligata), da noi, al contrario, è soprattutto un contratto forzoso (nel 57% dei casi è “involontario”), con bassi stipendi e carriere inesistenti. Non è una differenza da poco.