MONOLOGHI COVID

#MonologhiCovid. Titolo: Vecchi. Testo: Un certo numero di italiani maschi ha scoperto la sua età anagrafica durante l’emergenza Covid, in un preciso momento. Il momento è la giornata di metà aprile in cui si è diffusa l’idea di far uscire di casa prima i giovani e poi i vecchi e l’età dei vecchi è stata indicata in sessant’anni. Quasi nessuno degli ultrasessantenni che conosco, prima, si era mai reso conto di essere un vecchio, tantomeno un vecchio a rischio. Le donne sì, le donne ne erano al corrente anche in precedenza. Hanno la menopausa, le fatiche del trucco – dieci minuti a vent’anni, mezz’ora dai quaranta in su – a ricordargli costantemente la loro “certa età”. E i rischi relativi alla data di nascita sono quotidianamente ribaditi da migliaia di imbarazzanti pubblicità sui prodotti per le perdite urinarie o l’osteoporosi, le diete, le pancere, la lotta alle rughe d’espressione che poi sono rughe e basta, rughe da vecchia, come sappiamo tutte benissimo anche se la réclame delle creme usa soffici eufemismi.I maschi no, prima del Covid non conoscevano la loro età, soprattutto se appartenenti al ceto medio benestante e riflessivo, quel tipo di maschio che a Roma Nord va a giocare a calcetto nel circolo privato e a Roma Sud volteggia tra presentazioni librarie e prime teatrali. E qui si deve aprire una precisazione di classe molto importante. Il maschio ultrasessantenne lower-class, diciamo operaio edile, guidatore di camion, bracciante agricolo, sa benissimo di essere un vecchio: lo legge nello sguardo di disprezzo quando accenna un complimento ammiccante alla vicina di casa o alla cassiera. E’ un vecchio, e certe cose non può più permettersele (a vent’anni, in canottiera sotto il sole, faceva la sua figura ma quei tempi sono passati per sempre). Il maschio ultrasessantenne upper-class, invece, vede altre cose negli occhi delle donne, un luccichio che lo incoraggia a percepirsi come quarantenne. Il luccichio in realtà riguarda il suo avviato studio notarile, la sua villa al mare, la sua cattedra universitaria, la giuria di premio letterario di cui è presidente, ma lui, pur sapendolo, non ci crede fino in fondo, uno psicologo direbbe che non ha interiorizzato la cosa. Dunque l’idea di essere un vecchio non lo sfiora nemmeno, anzi. Lo indigna. Vecchio io? Ha una nuova compagna in età fertile, un figlio in arrivo o appena nato, si sente nel fulgore dell’età adulta, quarantenne o giù di lì, nei casi più estremi un trentenne con molta esperienza.Nell’immaginaria piramide degli shock da Coronavirus, questo uomo qui, questo maschio alfa da terrazza romana o da aperitivo ai Navigli, è al vertice, in cima, sulla punta del disagio psicofisico. Non ha più eventi dove fare la ruota, non ha più ragazze a cui dire “allora ti chiamo”, pubbliche occasioni per esercitare il suo magnanimo mansplaining, circoli dove sentirsi reginetta delle cheerleaders, e a causa del cinismo anagrafico governativo ha scoperto pure di essere tecnicamente un vecchio. Un vecchio da proteggere. Un vecchio da tenere a casa. Merita la compassione collettiva, gliela dobbiamo tutte, tranne ovviamente la sua ex-moglie che può tranquillamente continuare a ridere di lui.