MORIRE DI TSUNAMI

Mi voltavo verso l’oceano e avevo paura, specie quando era buio. Ho conosciuto anch’io la devastazione assoluta dello tsunami, nel 2004 in Sri Lanka. Un autentico paradiso che in pochi minuti è diventato un inferno. Ricordo che a Galle, a nord di Colombo, c’erano accatastati tremila cadaveri. Andavamo ogni giorno e al ritorno buttavamo le scarpe perché erano impregnate dall’odore di morte. Poi siamo saliti ancora più su e in territorio tamil abbiamo messo i piedi su quella che era stata una piccola Atlantide, l’isola di Kinnia, che per un’ora è stata sotto l’acqua, portandosi tutti gli abitanti, e poi è riemersa. Ho visto da vicino il treno che un’onda ha fatto diventare una bara gigantesca. Sono tornato altre due volte: sei mesi e un anno dopo come garante dell’aiuto dato attraverso gli Sms. Non ho più trovato le macerie e quelle insenature così magiche erano tornate territorio dei pescatori assoluto. Il dolore non era scomparso ma negli abitanti era tornato il sorriso. Perché i cingalesi, gente mite e generosa, sorridono sempre. Ma come puoi battere la natura? Come puoi scappare in pochi minuti da onde forti e gigantesche che s’infilano come schiaffi per chilometri dal mare dentro le campagne trascinando tutto e tutti? Adesso leggo delle 1200 vittime in Indonesia e piango per loro.