NEI CAPITOLI DELLA PESTE DI MANZONI NON C’ERA IL PANICO TRA I MILANESI

NEI CAPITOLI DELLA PESTE DI MANZONI NON C’ERA IL PANICO TRA I MILANESI

Comunque se leggete i capitoli della peste in Manzoni vedreste come nel 1630 non c’era il panico fra i milanesi. Niente corsa agli scaffali, niente speculazioni sui prezzi, niente tapparsi in casa, anzi, molta assistenza ai poveri, tanta generosità nell’aiutare il prossimo organizzata dalla Curia e dal Senato, con nobili e preti mobilitati in prima persona. C’erano i monatti e i ladri, certo, ma non si segnalano grandi furti, i ladri dovevano stare attenti, c’era la pena capitale anche per il furto di pochi piatti d’argento.Più che altro chi poteva fuggiva in altra abitazione fuori città, questo ovviamenete fino a quando non si chiusero le porte delle mura. Occorreva un permesso per entrare o uscire dalle zone contaminate.Nella peste di 54 anni prima, del 1576, San Carlo e il Senato litigavano perché quest’ultimo voleva interdire le processioni, il Cardinale ci mise un po’ a capire che favorivano il contagio ma obbligò i religiosi all’assistenza assidua, anche ai malati gravi, giunse a chiamare i preti dal Canton Ticino quando questi di Milano iniziarono ad ammalarsi e ad andarsene.Ma è indubbio che Manzoni non si lamentava troppo dei milanesi, tutt’al più li sfotteva per la rivolta dei forni, ma se non altro la carestia c’era davvero, immediatamente antecedente la peste, ne ha fatto quasi una pagina tragicomica.