QUANDO MORI’ CRAXI, IO C’ERO

C’ero quando morì Craxi. Da un mese, forse due, la grancassa del giornalismo italiano si era trasferita ad Hammamet per seguire le ultime fasi della vita del leader socialista. Impossibile avvicinarsi alla villa (ci provai in tutte la maniere) così mi accontentai di parlarci al telefono, mi resta il ricordo di quella voce roca eppur brillante: “ma vai al mare caro, guarda che splendide giornate”. Neppure l’ombra di una notizia ma quelle poche battute mi lasciarono un testamento di simpatia dopo aver contrastato la sua politica per anni nonostante tanti amici socialisti. Quell’uomo solo, malato, sicuramente uno statista che riuscì senza paura a contrastare l’egemonia americana (pagandola con quell’esilio) mi fece una gran pena, tifai per lui. Fu talmente lunga la trasferta, e i luoghi così incantevoli, che ci raggiunsero le nostre mogli. Ricordo che la mia diventò amica diStefaniacon la quale condivise il dramma del diabete, malattia che devastava i loro genitori. Ricordo i continui viaggi con Tunisi e in una foto è colto l’attimo dell’annuncio della morte, sotto l’ospedale, insieme al collega ed amicoValter Vecellio. Sono documentati anche i momenti meno pesanti, da turista, fra le rovine di Cartagine, insieme ad Aldo Cazzullo, o in piscina con Daniele Mastrogiacomo, le cene con i colleghi (intravedoNatalia Augias), le visite con il fido interprete Kamel, talmente furbo da riuscire a vendere il Colosseo ai giapponesi. Ma anche i momenti di dolore e di sacrosanto rispetto, quando partecipammo tutti alla cerimonia funebre in quel cimitero d’Africa con il corpo di Bettino rivolto per sempre verso l’Italia.