VASSENE IL TEMPO E L’UOM NON SE N’AVVEDE

Pur vivendo un’epoca nella quale, oggi più di ieri, come sosteneva un vero signore di Firenze, “del doman non v’è certezza ” – nel senso che è sempre incombente il rischio (politico) di cadere dalla padella alla brace – con gran sollievo e soddisfazione, possiamo dare per scontato che è giunta a naturale scadenza un’altra “perla” lasciata in eredità ai lavoratori italiani da un altro fiorentino; forse più noto al vasto pubblico, ma, senza dubbio, molto meno nobile e stimato.Intendo riferirmi alla possibilità, per i dipendenti delle imprese private, di chiedere al datore di lavoro, l’anticipazione mensile del trattamento di fine rapporto (Tfr).Infatti, la legge di stabilità per il 2015 previde, in via sperimentale per tre anni (cioè dal 1.03.2015 al 30.06.2018), che ai lavoratori fosse concessa la possibilità di beneficiare(!) del pagamento in busta paga della quota-parte di Tfr di volta in volta maturata. L’eventuale scelta sarebbe stata irrevocabile fino al giugno 2018.Lo slogan che accompagnò quella che, personalmente, considerai una strumentale e irresponsabile iniziativa di Renzi – tesa solo a dare ai lavoratori la fatua (e falsa) sensazione di veder crescere il salario mensile – fu, appunto, “Il Tfr in busta paga”.Naturalmente, come da inevitabile italica consuetudine, non tardarono gli apprezzamenti e gli elogi – da parte dei “soliti noti” – nei confronti di un neo premier che dimostrava, a loro parere, indiscusse doti di “innovatore”.Ricordo, perfino con simpatia, che l’allora senatore Pd, Pietro Ichino – entusiasta ed irrefrenabile sostenitore del provvedimento – arrivò, addirittura, a richiamare il principio europeo della “libera concorrenza nel mercato dei capitali” per rivendicare(!) il diritto dei lavoratori italiani a disporre dei propri soldi.Mi ritrovai, però, in numerosa e qualificata compagnia nel cercare di spiegare che si trattava, in sostanza, di un “cavallo di Troia” e che, in risposta alla controffensiva liberista in atto, tesa a comprimere i diritti dei lavoratori ed esaltare la completa libertà d’impresa – della quale Renzi si sarebbe, successivamente, dimostrato fervente paladino – era necessario indurre i lavoratori a rifiutare quella che appariva come una gentile “concessione” nei loro confronti.Si trattava, in realtà, di una volgare “polpetta avvelenata” che si tentava di contrabbandare, quale misura tesa a incrementare il reddito mensile dei lavoratori.In effetti, le ragioni per le quali, a mio parere, si rendeva opportuno respingere anche la semplice sperimentazione della rateizzazione del Tfr, erano, come già denunciato all’epoca, numerose.Tra queste:1) l’obiettivo di stimolare l’economia del paese e promuovere la propensione ai consumi, attraverso un provvedimento che avrebbe coinvolto soltanto i lavoratori subordinati, appariva illusorio e velleitario;2) la quota di Tfr mensilmente percepita in busta paga sarebbe stata tassata con l’aliquota ordinaria dell’Irpef, e non con quella agevolata prevista nel caso di accantonamento in azienda o nei fondi-pensione. In pratica, con un reddito di 23 mila euro, su un Tfr annuo pari, complessivamente, a 1.209 euro, si sarebbe pagato il 27 per cento, anziché il 23,9 di Irpef (fonte: “La legge per tutti”);3) il Tfr in busta paga, cumulato al reddito annuo, avrebbe avuto serie ripercussioni sulle detrazioni d’imposta e sull’ammontare degli eventuali assegni familiari;4) l’aumento del reddito complessivo avrebbe prodotto un innalzamento del valore Isee, con conseguenze rilevanti rispetto ad alcune agevolazioni di tipo sociale. Si pensi, ad esempio, alle mense scolastiche e/o alle tasse universitarie, se non alle graduatorie per l’accesso agli asili nido;5) il Tfr rateizzato avrebbe impedito a milioni di lavoratori di ritrovarsi, a fine carriera, con un “gruzzoletto” che – come rilevato da indagini di merito – aveva sempre rappresentato, soprattutto per coloro che potevano contare su redditi più modesti, la possibilità di provvedere a tante necessità personali e familiari: matrimonio di un figlio, “abbattimento” della rata di un mutuo o di un ingente prestito, l’avvio di un’attività autonoma e tanto altro;6) l’enorme contraddizione – rivolta, tra l’altro, alla stessa tipologia di lavoratori – esistente tra i pressanti inviti ad aderire ai vari “Fondi pensione” e la contemporanea possibilità di percepire la quota parte di Tfr con cadenza mensile.Per fortuna, anche se non ci sono dati disponibili – e, purtroppo, come da prassi, credo che non lo saranno nemmeno in futuro – pare che non siano stati in molti i lavoratori coinvolti nel grande bluff renziano.Dallo scorso 1luglio, come da messaggio Inps nr. 2791, è terminata la scellerata sperimentazione e i lavoratori – in attesa della prossima “diavoleria governativa” – potranno tornare a decidere di accantonare il Tfr:a) in un qualsiasi Fondo complementare,b) al Fondo di Tesoreria dell’Inps,c) all’interno della propria azienda.Spiace solo che le tante e pur qualificate “Cassandra” – che, agli inizi del 2015 tuonavano contro la prima, grande, “bufala” del giovane fiorentino – siano state costrette, come da prassi, ad assistere impotenti al realizzarsi delle loro infauste previsioni.