ADDIO A GIAN MARIO BRAVO, MAESTRO DI MARXISMO E MARXOLOGIA

ADDIO A GIAN MARIO BRAVO, MAESTRO DI MARXISMO E MARXOLOGIA

Come tanti, stasera ho guardato la tv, per rivedere il film di Raoul Peck, “Il giovane Marx”, che avevo già visto alla sua uscita nelle sale. L’ho guardato, sia perché è una pellicola meritevole, sia perché il tema mi appassiona enormemente. Eppure la motivazione principale del mio (inusuale anche in tempi di clausura pandemica) fermarmi davanti al televisore, consisteva nel silenzioso omaggio mentale a Gian Mario Bravo, che avrebbe sicuramente rivisto il film, stasera. Nel 2017, all’uscita della pellicola, si era accennato alla possibilità di farne una pubblica proiezione con i commenti di quello che era uno dei maggiori conoscitori, a livello mondiale, di quella storia. E, in seno alla Redazione di “Historia Magistra”, avevamo proposto a Gian Mario di recensire il film nell’apposita rubrica della rivista (“Piccolo e Grande Schermo”). Lui si schermì. Non si sentiva all’altezza: “non ho mai scritto recensioni di film, solo di libri”. Resistette alle nostre sollecitazioni, fornendoci una volta di più l’esempio del suo rigore, di un comportamento che era basato su di un inflessibile concetto: ciascuno fa ciò che sa fare, ossia ciò che è preparato per fare. E lui i film li guardava, sì, e volentieri, disse, “ma non sono un critico cinematografico”. Una lezione di serietà, ma anche di stile. Per me, poi, guardare il film, nel 2017, come nel 2020, era un ritorno ai miei esordi di giovanissimo docente: il mio primo corso, quando cominciai la carriera universitaria, alla Statale di Milano, fu dedicato precisamente al “giovane Marx”. Sebbene fosse un corso monografico parallelo al corso principale, “istituzionale”, di Storia delle dottrine politiche (di cui era titolare Carlo Pincin), il mio era seguito da una marea di studenti: tutti (quasi…) di estrema sinistra, la più parte militante nel Movimento Studentesco di Mario Capanna, con le sue interne divisioni, che faticavo a tenere a bada a lezione. Ma ci riuscivo leggendo e commentando Marx, raccontando la sua vita errabonda, inseguito dalle polizie di mezza Europa, nella più totale indigenza, assediato dalle malattie, mentre i suoi figli morivano. E ciononostante, con un lavoro matto e disperatissimo, produceva testi di eccezionale densità, di incommensurabile valore, testi che oggi sono un autentico patrimonio dell’umanità. E mi veniva da piangere, forse sempre per la commozione che la scomparsa temuta ma inattesa di Gian Mario – avvenuta ieri l’altro, 29 aprile – riflettendo al tragico paradosso: quella che è stata una delle menti più possenti dell’umanità, Karl Heinrich Marx, ha attraversato l’esistenza tra sofferenze e persecuzioni. Così il potere borghese sa riconoscere il genio, così sa apprezzare il talento, così rende omaggio all’intelligenza, meditavo amaro, tra me e me. E ripensavo al “professor Bravo”, maestro di marxismo e di marxologia e a come sarebbe stato istruttivo e piacevole commentare insieme quel film, i cui personaggi storici lui conosceva perfettamente, vorrei dire intimamente: e non mi riferisco soltanto a Marx ed Engels… Gian Mario parlava di Wilhelm Weitling o Moses Hess, di Arnold Ruge e Max Stirner, di Proudhon o Bakunin, come se li avesse incontrati di persona, delineandone i profili intellettuali ma anche le vite, persino le manie, le debolezze, le generosità e le umane miserie. E mentre riascoltavo, con emozione, le discussioni tra Karl, Friedrich, Jenny e Mary, mi sono sovvenuto che avevo rifatto a distanza di decenni (non ho voglia di contarli) il corso su Marx, sul giovane Marx, all’Università di Torino, quando (infine!) divenni professore ordinario della stessa disciplina di Bravo (la Storia del pensiero politico, appunto) nella Facoltà di Scienze Politiche. Colleghi, finalmente, pari grado, ma rispetto alla sua autorevolezza e alla sua esperienza mi sentivo sempre uno studentello. E gli chiesi di venire a tenere una lezione nelle mie ore, una lezione generale su Marx, cosa che fece contribuendo ad arricchire il mio corso, aumentando la voglia di apprendere degli studenti, che non assomigliavano per nulla a quelli degli anni Settanta, non sognavano la rivoluzione, non militavano, se non in esigue minoranze, ma che, in larga parte, nutrivano ancora la volontà di sapere. Che, nei miei limiti, cercavo di suscitare e di tenere desta, lezione dopo lezione, libro dopo libro, citazione dopo citazione, tentando sempre di mostrare la presenza viva di Marx tra noi, della necessità di ricorrere ancora alle sue analisi, e al bisogno di renderci conto di quanto fosse vera, potente e profetica, quella frase che leggiamo nella XI Tesi su Feuerbach: “ I filosofi hanno finora variamente interpretato il mondo. Si tratta ora di trasformarlo”. Una frase che negli anni 70 come nei 90 faceva sussultare gli studenti, anche se io poi in certo senso, in questo davvero “allievo” di Bravo, raffreddavo gli entusiasmi, con un pizzico di crudeltà, invitandoli intanto a studiare, il che sarebbe riuscito utile sia per “interpretare”, sia per “trasformare” il mondo. Addio, Gian Mario Bravo. Giorno dopo giorno misureremo l’ampiezza del vuoto, scientifico e umano, che la tua scomparsa lascia tra di noi