MORIRE D’AGOSTO

MORIRE D’AGOSTO

Buon ferragosto a tutti. Anche se voglio dire cose che non hanno nulla a che vedere con un giorno come questo. La prima è presto detta: quello che è successo in Egitto –centinaia di morti tra i manifestanti pro Morsi- è una potente propaganda a favore di Al Qaeda. E’ la dimostrazione, per ogni musulmano radicale, che la democrazia e le elezioni non servono, che il governo di un Islam rigoroso è impossibile attraverso scorciatoie non violente.La seconda riguarda padre Paolo Dall’Oglio. Amici libanesi mi confermano la sua morte, e aggiungono – e prima o poi si saprà se sia vero o meno – dettagli atroci. Padre Dall’Oglio sarebbe stato, dopo la morte, crocefisso. Un rituale già messo in atto nello Yemen, e che, non essendo fine a se stesso, ma teso a spargere il terrore tra i cristiani, sarà stato documentato in qualche modo. Ma non voglio farvi distrarre da questo possibile orrore finale. Contano altre cose. La prima è sull’agonia di padre Dall’Oglio. Sono trascorse più di due settimane dalla sua scomparsa a Raqqa. Due settimane in mano all’odio e alla sorda disumanità di chi lo deteneva, una prova durissima per un uomo del dialogo, quale padre Paolo è sempre stato.Non tutte le morti sono uguali. Fosse stato ucciso dagli sgherri di Assad –qualcuno ha provato ad adombrare una propaganda di questo tipo – tutto sarebbe rientrato in una logica crudele e fatale. Da quel paese, la Siria, padre Dall’Oglio era stato espulso, proprio perché era un uomo del dialogo, e non accettava la piega sanguinosa degli avvenimenti, e chiedeva ragionevolezza,e riforme, e fine della repressione. I cristiani, in Siria, soffrono più violenze da parte dei ribelli estremisti che da parte di un regime oppressivo e sanguinario, ma che ha una sola religione, quella del potere. Non è una novità: succedeva anche nell’Iraq di Saddam. Ma padre Dall’Oglio è stato espulso dl despota, aveva le credenziali più nobili per muoversi nella Siria “libera”. Lo ha fatto con la forza, e forse la bella ingenuità, di chi vede in ogni uomo un fratello, e non lo ritiene capace delle cose peggiori. Lo ha fatto per aiutare le sorti di Domenico Quirico e di tanti siriani qualunque sequestrati, per mediare, per parlare anche ai lupi.Non è neanche questa una novità: persino nelle vicende del terrorismo politico italiano le vittime, a cominciare da Moro per finire a Walter Tobagi, venivano scelte non tra gli avversari più accaniti, ma tra gli uomini di mediazione, tra chi costruisce ponti, non trincee. Sono uomini pericolosi, quelli che dialogano, perché a slogan si controbatte con slogan, alle armi con le armi, ma alla pacatezza, al ragionamento no. Il dialogo è un antivirus potente e pericoloso per chi vuole il peggio.Ma qui non dobbiamo chiudere gli occhi. Se gli uomini di fede hanno tutto il diritto, e forse anche il dovere, di chiamare “fratelli” i figli di Dio che chiamano il padre con un altro nome, il realismo ci porta a dire che l’Islam, non solo da oggi, sa spesso essere Caino. E che essere inermi, o ciechi, non ci salva, non ammansisce la ferocia. Certo: non tutti i musulmani, anche se è nella natura stessa e nella storia dell’Islam un’indole guerriera: non ci sono missioni, ma conquiste e sottomissioni. Certo, anche il cristianesimo ha avuto secoli bui, ma sin dall’inizio per noi il martire è stato colui che sacrifica la propria vita per non rinnegare, non chi sacrifica, con la propria la vita altrui, quale lo shahid islamico.Certo, ci sono responsabilità dell’Occidente: per aver imposto con la forza del mercato i propri modelli, per aver dato prova di spregiudicatezza e falsa morale (chi ha ucciso più vittime innocenti, il Gheddafi cui abbiamo fatto la guerra, o l’Assad, forte di buone alleanze e povero di petrolio ?) , per aver lasciato che una repressione feroce riducesse una rivolta democratica a radicalizzarsi, e a diventare terreno di conquista per il fondamentalismo.A non aver chiare queste semplici considerazioni si rischia di illudersi, e ancora di più di non chiedere, di non sollecitare, di non pretendere che sia l’Islam stesso a considerare un proprio mortale nemico il fondamentalismo. Se c’è un segno di speranza, come in ogni peggiore tragedia, in questa storia, sta nelle candele che qualcuno accende in una piazza di Raqqa, in nome di padre Paolo. Ma nel nostro ferragosto di sole, si vedono appena.