A PROPOSITO DI CHI, IN «BUONA FEDE»DICE DI TENERE ALLA LIBERTÀ DI SILVIA ROMANO

Mi provo a rivolgere a chi in buona fede (?) afferma di tenere alle libertà di Silvia Romano, di voler “capire se questa ragazza ha scelto liberamente di essere musulmana, perché la sua liberazione è costata 4 milioni” e davvero, cerco di mantenere la calma. Cercherò di essere pacato, perché vorrei serenamente capire e cercare di chiudere questa storia davvero mesta. Premessa banale: in linea di principio, in che modo l’opportunità del pagamento di un riscatto ha a che fare con la conversione di una ex prigioniera ad una religione il cui esercizio fino a prova contraria è sancito dalla nostra Costituzione? Ovviamente sto parlando a chi non pensa che essere musulmani significhi automaticamente essere indiziati di terrorismo, o chi come i sallusti arrivano al paragone tra essere musulmani e nazisti. Quelli, per loro stessa ammissione, “non capiscono”. Poi: Silvia ha raccontato di essersi convertita volontariamente. A metà prigionia, chiusa in una stanza d’appartamento, ha chiesto che le venisse portato un Corano e uno dei rapitori gliene ha rimediato uno col testo italiano a fronte. Poi, verosimilmente, si è immersa in quello, e ha preso una strada che chi ha letto il Corano sa che è anche possibile prendere, o adocchiare, figuriamoci se stai due anni chiuso in una stanza solo con un libro. Ma mettiamo che menta. Mettiamo che per qualche inesplorata, bizzarra ragione Silvia, giunta sul suolo italiano, al sicuro, non dica il vero. Mettiamo che nn dica il vero sul fatto di essere musulmana. Qual potrebbe essere la spiegazione? Le hanno impiantato un microchip che la fa esplodere se non dice pubblicamente che è musulmana? Hanno in pugno i suoi parenti? Oppure mettiamo – e questa mi sembra la vostra reale preoccupazione – che menta sulla spontaneità della conversione: in realtà l’hanno minacciata, vessata, costretta a pregare, a imparare a memoria il Corano e a recitare la shahada. Ok. E dico: secondo voi questa sarebbe una conversione ? Che idea avete di una cosa così intima, complessa, talvolta tormentata, talvolta improvvisa, come una conversione ad una religione? Avete mai incontrato uno che vi ha detto di essere cattolico, e di essere stato costretto tempo addietro a diventarlo? Cosa c’è, una pozione? Convertirsi significa scavare, interrogarsi, rielaborare coordinate, guardarsi dentro, ricalibrare uno sguardo, delle priorità, sensibilità, talvolta convinzioni. Significa prendere una strada che non puoi percorrer senza le tue gambe. A volte implica tormentarsi o prendere strade tortuose, a volte può essere del tutto ovvio, naturale, placido, e può non dipendere in alcun modo dall’ambiente circostante. Altre volte può dipendere da uno o più incontri, altre volte ancora accompagnarsi alla ricerca personale, solitaria. A volte è visibile, altre volte non lo è. Ma anche tutte queste cose insieme, o solo alcune. Un percorso spirituale o religioso non può essere incasellato, classificato o etichettato secondo dei modelli predefiniti. Ma seriamente questa roba va spiegata? Non bisogna essere dei fulmini per arrivarci, è sufficiente la logica. Come pensate sia possibile COSTRINGERE qualcuno a ESSERE, a CREDERE in qualcosa? È possibile costringere ad una (vuota) pratica, ad una gestualità, ad un abbigliamento, ad una retorica, persino a un comportamento. Ma non a credere in qualcosa, non puoi costringere qualcuno a essere musulmano o cristiano, cazzo (nemmeno socialista o liberale, a dire il vero). Sopratutto se non lo hai nemmeno più nella tua disponibilità fisica. Ma anche se ce l’hai. Qual è il punto? Che se Silvia Romano è davvero musulmana allora non bisognava salvarla? Parlate chiaro, che sennò non vi capisco. Ci vuole rispetto. Se lei vorrà parlarne ne parlerà, altrimenti sono affari suoi in ogni caso. Se però avete la tendenza a pensare che una persona possa essere “costretta a convertirsi” (anziché al limite essere costretta a recitare una conversione, e poi liberarsi quando la costrizione termina), beh, c’è un problema a monte, che rischia di ripresentarsi. Perché è una questione non solo irrilevante, non solo (involontariamente, se siete in buona fede) offensiva, ma anche impossibile da misurare proprio per il suo carattere di intimità ed interiorità, per la sua mutevolezza – Silvia ora ha di fronte un percorso da musulmana convertita in Italia, e non più in Somalia -, delicatezza, complessità. L’hanno costretta, indotta, ipnotizzata, e ora è completamente persa? Facciamo pure di sì, se non le credete o se pensate che magari nelle prime ore dalla liberazione possa non essere credibile. Ok. Ci provo. Ma quindi? La riportiamo lì e chiediamo ai rapitori di disinstallare il programma? Le facciamo l’elettroshock, nella speranza di recuperarla al cristianesimo o alla laicità (che peraltro si può non smarrire anche se si è convertiti), di cui evidentemente tende a sfuggire il senso, se l’adesione di una maggiorenne ad una religione professata da un miliardo e settecento milioni di persone diventa quasi un affare di Stato e riempie editoriali di giornalisti che vivono sulla Luna? Perché è urgente, importante capire se è stata costretta, indotta, ipnotizzata, spinta in prima seconda o terza o quarta battuta a convertirsi ad una religione il cui esercizio riguarda solo e soltanto lei, e dovrebbe essere garantito e tutelato al pari degli altri (e dei non-credi) in uno stracazzo di Stato laico? Smettetela di farvi domande tossiche, per favore