GIUSEPPE UVA. DOVE E’ LA VERITA’?

GIUSEPPE UVA. DOVE E’ LA VERITA’?

Era il 13 giugno 2008, le 3 del mattino, quando due amici, Giuseppe Uva ed Alberto Biggiogero, ubriachi dopo una nottata in giro per locali, decisero di mettere in mezzo ad una strada di Varese alcune transenne, per divertirsi, sbarrando di fatto la strada. Purtroppo per loro in quel momento passava una gazzella dei Carabinieri, ed a quel punto i fatti assumono, nelle testimonianze delle persone coinvolte, contorni divergenti. Infatti Biggiogero dichiarò in seguito che un agente della benemerita si rivolse al suo amico, minacciandolo, come se lo avesse riconosciuto, mentre secondo i rapporti degli uomini in divisa, uno dei due rimase fermo sul posto, mentra l’altro, Giuseppe, iniziò a correre, costringendo gli agenti ad inseguirlo e bloccarlo. Entrambi vennero poi portati presso la caserma di via Saffi, ed ancora altre divergenze. Secondo l’amico, Giuseppe venne portato in un’altra stanza,dove c’erano sia carabinieri che poliziotti, ed iniziarono a torturarlo, poiché sentiva le sua urla di dolore attraverso le pareti. Talmente intense le urla che Alberto decise di chiamare il 118, dicendo che stavano massacrando un uomo. Ma l’operatore dall’altra parte del telefono decise di chiedere conferma chiamando in caserma,dove gli venne risposto che si trattava di due ubriachi che stavano facendo chiasso. Furono poi gli stessi agenti a chiamare il 118, alle 5 del mattino, chiedendo l’intervento della guardia medica per un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) per un caso di autolesionismo. Ed in effetti giunti sul posto il medico confermò di una persona che sbatteva la testa contro le sbarre e le sedie, decidendo pertanto di ricoverarlo presso il reparto psichiatrico dell’Ospedale di Circolo, frazione del varesino. Giuseppe Uva morirà li, in quel reparto, alle 4 del mattino del 14 giugno. Da li si dipanano una serie di accuse, di accertamenti, di testimonianze, e poi i processi, fino al 31 maggio 2018, quando la Corte d’Assise e d’Appello di Milano assolve tutti gli imputati, confermando la sentenza di primo grado. Le motivazioni ancora non sono note, ma presumibilmente ricalcheranno quelle del primo giudizio, ossia reputando la testimonianza dell’amico presente sul posto non attendibile, sia in virtù dello stato di ubriachezza sia per il risentimento verso le forze dell’ordine. La Procura però si era mossa diversamente, chiedendo la condanna a 13 anni di carcere per due carabinieri e di 10 anni e 6 mesi per i poliziotti coinvolti, sei agenti presenti in caserma la notte del fermo di Giuseppe. Avrebbero dovuto rispondere, secondo l’accusa, di omicidio preterinzionale e sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale. Sentenza non apprezzata, non c’è bisogno di dirlo, dalla famiglia di Giuseppe, che tramite le parole dell’avvocato di fiducia annuncia il ricorso in Cassazione, dicendosi preoccupato per la limitazione della libertà personale quando non sussistono elementi tali da presumere il pericolo. La difesa degli agenti sottolinea, a conferma della sentenza, come si siano tenute in dovuto conto le esigenze del momento e di tutela, essendo decaduta la denuncia per sequestro di persona. In realtà però ci si muove, in questi casi, su un terreno minato, di difficile comprensione. Il fermo di una persona, pur se operato dagli agenti, viene successivamente convalidato da un magistrato, e quindi la responsabilità ricade su di lui. E per il Trattamento Sanitario Obbligatorio ancora non sono chiare le regole, i comportamenti da tenere, specialmente in mancanza di strutture specializzate e nell’impossibilità, per i medici operanti, di effettuare un riscontro che vada oltre l’osservazione momentana nell’attimo di crisi della persona. È ancora vivo il ricordo delle polemiche suscitate dal caso di Lucca, quando, nel 2015, un uomo di nazionalità tunisina arrestato in flagranza di reato per furto, e per questo condannato, si vide riconoscere il risarcimento da parte del carabiniere che lo aveva arrestato perchè, secondo il tribunale giudicante, vi era stato eccesso di violenza nel fermare il reo. Nel caso di Giuseppe Uva quindi, vi fu davvero violenza non necessaria oppure fu egli stesso a compiere atti autolesionistici dalle conseguenze non considerate? I poliziotti in quella caserma erano stati chiamati per ausilio? Ciò che è che certo è l’inizio della vicenda, quelle transenne posizionate in mezzo alla strada di notte, che avrebbero potuto causare danni gravi se qualche automobilista non si fosse accorto dell’ostacolo. Poi tutto ricade nel discorso delle ipotesi, delle accuse, delle circostanze non chiarite. Si presuppone che chi decide di servire e proteggere lo Stato ed i cittadini sia cosciente della propria missione, del discapito che protrebbe averne a livello fisico, e non tutti i colpevoli di reato sono pericolosi criminali, anzi, spesso si tratta di persone che non considerano le conseguenze dei loro gesti, che si tratti di abusi edilizi o guida spericolata. Ciò che non si deve perdere di vista però è l’asticella, da una parte e dall’altra, del consentito, perchè sotto la divisa ci sono delle persone, con le loro paure, le loro ansie, lo stress a cui si è sottoposti, ed i cittadini, comunque sia, sono persone che hanno diritti, oltre che doveri. La verità è solo questa.