RITORNEREMO ALLA ANORMALITA’

RITORNEREMO ALLA ANORMALITA’

Il mondo, scopertosi vulnerabile al più minuscolo soggetto biologico conosciuto, il virus, si è fermato per circa due mesi, chiudendo frontiere e porte di casa. Due mesi in cui la natura si è ripresa i propri spazi, a volte sconfinando li dove sono sorte città al posto di boschi, ristabilendo un equilibrio che l’uomo aveva alterato drammaticamente. I fiumi, seppur per breve tempo, senza sversamenti industriali e liquami vari, sono tornati azzurri, spazio vitale per i pesci, per la flora acquatica. Ma, cosa più importante, le città stesse si sono svuotate, lasciando intravedere spazi scomparsi ormai da tempo. Le strade deserte anche di notte ci hanno ricordato che le città che non dormono mai sono realtà schizofreniche, irrequiete, stravolte, in  grado di dare ogni cosa a qualsiasi ora, tranne la serenità. Non è un semplice ritorno alla vita lenta, ai ritmi più confacenti all’animo umano, come si fosse ritrovata una vena ecopoetica affine ad una civiltà bucolica, ma una vera e propria rappresentazione della realtà come dovrebbe essere. Soprattutto le città d’arte si sono riscoperte vive, nonostante l’assenza di turismo, perché i monumenti continuano ad esistere anche senza le folle, spesso ignare di cosa stiano osservando. Si è compreso, o meglio, si è assodato quanto già compreso ma taciuto in precedenza, ossia che il turismo di massa non è un bene, perché impedisce la fruizione di opere fatte per trasmettere emozioni a chi le osserva, non relegandoli  semplicemente a soggetti  da fotografie e selfie, fagocitati da una ansia di apparire piuttosto che dalla voglia di esperire sensazioni e suggestioni. Una economia drogata da una falsa percezione di movimento, di gente, che in realtà non porta utili economici ma solamente confusione, con pasti comprati nei supermercati e consumati sui gradini delle chiese, sotto i portici della Galleria degli Uffizi, sulla scalinata di Trinità dei Monti, senza rispetto per i secoli, per la storia, per la civiltà divenuta incivile. Le file ordinate e compatte fuori dai supermercati e dagli uffici postali ci hanno mostrato una possibilità diversa, ordinata, senza la calca, la capacità di autoregolamentarsi, anche se per breve tempo. Ma era una situazione di normalità anomala, ciò che dovrebbe essere, ma non può, perché non siamo più in grado di comprendere il nostro posto nel mondo, convinti di essere il centro assoluta delle nostre vite, un insieme di individualità e non una unione di persone, sconfitti solamente dalla natura e dalle malattie, che releghiamo ad eventi imprevisti, come se la natura stessa fosse un imprevisto, una pietra su cui inciampare. Ritorneremo presto alla nostra anormalità, ad usare le automobili anche per fare pochi passi, pochi metri, quasi ansiosi di poter soffrire chiusi dentro abitacoli di plastica e metallo, per riscoprire la vena naturistica solamente in occasione di scampagnate, purchè ci siano i confort necessari. Bisogna far ripartire i campionati di calcio, dobbiamo ridare alla gente panem et circenses, perché se perdurasse questa situazione forse si consumerebbe di meno, si rallenterebbe una economia fatta anche di futilità, di oggetti inutili, acquistati per essere dimenticati e gettati facilmente, di telefoni dell’ultima generazione da sostituire anche se ancora buoni. Torneremo alla nostra anormalità, e tutto questo tempo passato nelle nostre case, dentro le nostre fragilità ed i nostri pensieri, passerà, portato via dal tempo ritrovato, e resteranno solamente le fotografie ed i video a ricordarci cosa abbiamo vissuto, e cosa abbiamo perso.