WHITE GOLD, I MOBSTER DEI DOPPI INFISSI

WHITE GOLD, I MOBSTER DEI DOPPI INFISSI

Esattamente trent’anni fa, nel 1987, Barry Levinson, uno dei miei registi preferiti, scrisse e diresse un film con Richard Dreyfuss e Danny DeVito: Tin Men (in italiano: Tin men, due imbroglioni con signora, così, giusto per far capire che c’era anche Barbara Hershey e rovinare un titolo). Il film è molto divertente, ed è anche strano, perché tutto sommato è la storia di una rivalità tra due venditori porta a porta di infissi in alluminio nell’America del 1963; mi direte che il mestiere dei due non c’entra, figurarsi poi con DeVito e Dreyfuss se era possibile sbagliare, e invece nella storia l’alluminio c’entra eccome: si fosse trattato, che so, di due benzinai o di due bancari, la cosa sarebbe stata diversa. Tra i due non c’è solo rivalità: c’è un mestiere particolare, che li porta a comportarsi in una certa maniera. Un po’ come ne I ragazzi irresistibili (di Herbert Ross, scritto da Neil Simon, e anche qui è meglio il titolo originale, The Sunshine Boys), in cui George Burns e Walther Matthau litigano come cani di cancello non perché sono vecchi, ma perché, soprattutto, sono attori. Quello che ho capito io, è che per scrivere una cosa così, devi essere davvero bravo. Non dico Neil Simon, che come lui ne nasce uno ogni due generazioni (e a quanto pare ne stiamo saltando un paio), ma almeno Barry Levinson, o Woody Allen quando era vivo (pensate al marito di Sonja in Amore e guerra, il commerciante di aringhe che se ne porta una in giro parlandole: da crepare dalle risate). Oggi, a distanza di trent’anni da Tin Men, Netflix ti tira fuori una serie White Gold, che parla di tre venditori di doppi infissi in plastica, e tu pensi valà valà che sarà la solita sitcom britannica per noi fan sfegatati, una specie di The IT crowd però fatto peggio. E invece ti trovi davanti una serie di primissimo ordine, che segue (anche se non arriva a quei livelli, ma questo era ovvio) la regola Simon-Simon-Levinson, dove Simon è scritto due volte perché è almeno due volte più bravo. L’oro bianco del titolo non è altro che la plasticaccia da due soldi con cui vengono fabbricati i doppi infissi venduti dai protagonisti della serie, tre venditori porta a porta nell’Essex del 1983; il materiale è scadente, dicevamo, ma diventa oro nel momento in cui si trasforma in doppio infisso, permettendo ai venditori ricarichi e commissioni da capogiro. Che poi uno pensa venditori e invece sono tre cialtroni, ma è il 1983, esistevano ancora i soldi facili: c’è Brian Fitzpatrick, rozzo, ignorante, ma capace di vendere di tutto a chiunque. C’è il timido Martin Lavender, che era il bassista di Paul Young e ha lasciato il gruppo due giorni prima del successo mondiale di Wherever I lay my hat, e che viene in preso in giro per questo e soprattutto perché ha frequentato l’università, e si sa come la pensano i cialtroni, con la cultura non si mangia. E poi c’è lui, il boss, il venditore tra i venditori: Vincent Swan.Giovane, belloccio, completo grigio cromato, una moglie trofeo che lo ama, due figli d’ordinanza, Vincent guarda ammiccante in camera e, dalla prima puntata, ci svela i segreti del venditore porta a porta, “che è come un vampiro, non dovete mai lasciarlo entrare in casa”. Resistete a questa banalità da quattro soldi. Da quel momento in poi la serie va in crescendo. Chi ha amato “Goodfellas” capirà che è a Scorsese, e non a Levinson, che si ispira White Gold, e che Vincent Swan, in realtà, è Henry Hill. Puntata dopo puntata, la serie perde i toni ridicoli (You said I’m funny. How the fuck am I funny, what the fuck is so funny about me? Tell me, tell me what’s funny!), scivola nel tragicomico, e si ferma giusto sulla soglia del tragico. Sono solo otto puntate di mezz’ora, e vi garantisco che sono troppo poche. Tipica regia british, battute e citazioni qua e là, e un sacco di musica: la serie è ambientata nel 1983, e quindi Cure, Madness, Pretenders, Joe Jackson, Ian Dury, Blondie, New Order, Frankie goes to Hollywood, Talking Heads, Stranglers e mi fermo solo perché la BBCha linkato la playlist completa qui, e si sa che gli inglesi per queste cose bisogna lasciarli stare. Un gioiello, per noi che ancora odiamo la Thatcher ma che non amiamo aver ragione, è il personaggio del cantante di protesta “support the miners”: l’episodio del pub è un piccolo capolavoro di scrittura politicamente scorretta. White Gold: non solo ve la consiglio, adesso me la vado pure a rivedere. Su Netflix.