IL LORO FILM “LE FAVOLACCE” HA VINTO L’ORSO D’ARGENTO AL FESTIVAL DI BERLINO

Il loro film “Favolacce” ha vinto l’Orso d’argento al festival di Berlino. Poi c’è stata la pandemia, il mondo ha chiuso il bandone e gli ingressi dei cinema. Ma oggi il film esce, anche in streaming, su Sky Primafila e altre piattaforme, da Google Play a Infinity. E in fondo, in questa nuova forma potrebbe anche conquistare spettatori nuovi. E molti potrebbero accorgersi di questi due registi dallo stile unico. Hanno trentadue anni, si chiamano Damiano e Fabio D’Innocenzo, sono gemelli. L’adolescenza vissuta fra Anzio e Nettuno, il sogno del cinema da autodidatti; così come sono autodidatti come scrittori e come fotografi. In casa leggono i libri di Pasolini, Camus, Bukowski; il cinema lo divorano con le cassette Vhs di Coppola, Scorsese, Kubrick. Si diplomano all’Istituto alberghiero, fanno mille lavori, fra cui i giardinieri. L’esordio folgorante con il film “La terra dell’abbastanza”, a Berlino 2018. Poi pubblicano un libro di fotografie, “Farmacia notturna”, fotografie poetiche, volti di sconosciuti afferrati al volo, “le cose scritte in minuscolo della vita”. E poi “Favolacce”. Preparano il film insieme a un produttore giovane ed entusiasta, Giuseppe Saccà; approdano in concorso a Berlino 2020, e tornano a casa con l’Orso d’argento. “Favolacce” è una storia di genitori – genitori infelici, irresponsabili, incapaci di ascoltare, amare, proteggere, persino solo di insegnare la gioia – e bambini: bambini immensamente soli, fragili, in caduta libera “come i lemming”, dicono. I lemming, quei roditori che sembrano gettarsi in massa dalle rupi. E attorno a loro, nel film c’è una luce morbida, bellissima, chiara – verrebbe quasi da dire: pietosa. Per un attimo, viene da pensare al “Giardino delle vergini suicide” di Sofia Coppola. Rispondono a una chiamata in simultanea, su Whatsapp, alternando le loro voci. Come avete vissuto questi giorni sconvolgenti?Damiano: “In quarantena vera. Mi sono tolto dai social, e ho cercato di lamentarmi il meno possibile, pensando a chi è nelle carceri e agli anziani, che pagano il conto più alto dell’emergenza. Staccare da tutto ci ha permesso di finire di scrivere il prossimo film, un thriller, e una serie televisiva noir, che sarà prodotta da Sky”. L’uscita di “Favolacce” in streaming che sensazioni vi dà?Fabio: “Avevamo pensato il film per la sala: ma tutto sommato, non è una cattiva idea sperimentare questa forma di uscita. Gli spettatori ci daranno una mano a capire che film abbiamo fatto”. Come immaginate il rapporto del film con il pubblico?Damiano: “Non metterà tutti d’accordo, lo sappiamo. Non produciamo mai niente per avere il consenso di tutti. È un film intenso, che illumina zone d’ombra del vivere, e del nostro carattere. Non ci piacciono le commedie che rassicurano lo spettatore”. La fotografia del film è, sorprendentemente, molto luminosa, quasi rasserenante, mentre la storia è intrisa di disagio.Fabio: “Volevamo questa contraddizione: affiancare a una storia molto cupa una bellissima palette di colori, uno stato d’animo estivo dentro una storia che si spezzava”. Avete un modo particolare di dividervi il lavoro, in scrittura e sul set?Damiano: “Prima di scrivere un film, parliamo molto: spesso disegniamo le scene prima di scriverle. Poi, una volta che si innesca la scintilla, il processo di scrittura, i dialoghi, la forma drammaturgica, è molto veloce. Sul set, invece, essere in due ci aiuta dal punto di vista quasi ‘agonistico’, per avere energie alla fine della giornata. Ma non ci dividiamo i ruoli in maniera sistematica”. Avete modelli cinematografici, un regista che significa più di altri per voi?Damiano: “Non ci riteniamo grandi registi: non facciamo questo lavoro in modo ortodosso. Non sappiamo ‘come’ si deve fare una certa cosa. E questo ci dà, paradossalmente, più libertà. Ci ispira di più la letteratura, Raymond Carver per esempio”. Fabio: “In realtà cerchiamo sempre di riscoprire la paura di fare cinema. Proviamo a disarticolare le cose che abbiamo imparato per fare il film successivo”. C’è qualche certezza che la pandemia ha spezzato?Damiano: “Io ho pensato: quanto male abbiamo evitato di recare alle persone, rimanendo a casa? Ogni incontro tra persone è anche, inevitabilmente, uno scontro. Siamo, primariamente, ancora animali. La violenza è il cuore profondo, nascosto dell’amore”. “Favolacce” è prodotto da Giuseppe Saccà, un produttore giovane. Come avete lavorato insieme?“Giuseppe è curioso, intelligente. Capace di capire le esigenze di ogni individuo sul set. Ha fiducia in un cinema incisivo, e non classicamente ‘italiano’. Ci ha scoperto e ci ha accompagnato”. Che cosa farete, per prima cosa, dopo l’emergenza?Damiano: “Andremo dai nostri genitori, a turno. Siamo tanti in famiglia”. Fabio: “Il mio desiderio più grande è viaggiare. Ma anche solo girato l’angolo, vedere cosa succede. Gli incontri con gli altri esseri umani sono così preziosi. La maggior fatica è stata l’assenza di stimoli esterni”. Avete visto i David di Donatello? Quali premi vi hanno emozionato?Damiano: “Quello per il miglior documentario a ‘Selfie’di Agostino Ferrente, e tutte le nomination per i registi esordienti. I premi contano soprattutto quando sei giovane, perché in quel momento ogni progetto può essere l’ultimo. E ogni premio può far crescere le tue possibilità di vivere ancora di questo mestiere”.