DON PEPPE DIANA, MORTO DUE VOLTE, PER AMORE DEL SUO POPOLO E DEL VANGELO

Don Peppe Diana ha avuto l’affronto di esser stato assassinato almeno due volte. La prima volta quel 19 Marzo del 1994, quando quel coraggioso di Casal di Principe venne colpito vigliaccamente per mano dei clan dei casalesi. La seconda quando prima dell’inizio del processo si è tentato di depistare le indagini e di infangarlo, accusandolo di essere frequentatore di prostitute, pedofilo e custode delle armi destinate a uccidere il procuratore Cordova. Una vera macchina del fango che lo ha investito ancora più vergognosamente per cercare di cancellare la sua Memoria. Giuseppe Diana era nato a Casal di Principe, nei pressi di Aversa, da una famiglia abbastanza agiata di proprietari terrieri. Nel 1968 era entrato in seminario ad Aversa: lì vi aveva frequentato la scuola media e il liceo classico. Aveva proseguito gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si laurea in teologia biblica e poi si laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto. Nel marzo 1982 era stato ordinato sacerdote e fin da subito comprese che il suo destino non doveva essere quello di muto osservatore di fatti. Non avrebbe fatto il dispensatore di sacramenti e benedizioni, non avrebbe fatto il dispensatore di parole vane durante i funerali dei morti ammazzati. Peppe non aveva paura, aveva fatto il sacerdote per scelta. Il suo impegno, le sue omelie erano pungenti, ma non condannava il singolo camorrista quanto il sistema in generale, per far capire quanto la prepotenza fosse sbagliata. Quando qualcuno di diceva di stare attento, di essere preoccupato per lui, don Peppe rispondeva: “ma che faccio di sbagliato? Questo è Vangelo”». La camorra che regnava incontrastata non poteva certo sopportare oltre. Alle 7.20 del 19 marzo 1994, proprio nel giorno del suo onomastico, don Giuseppe Diana venne assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si preparava a celebrare la santa messa. Un camorrista lo affronta con una pistola che spara cinque colpi, due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. Don Peppe Diana, non ha scampo, muore all’istante. I clan della zona che spadroneggiavano su tutto e tutti non potevano più tollerare questo prete indisponente che non rispettava il “sistema” che metteva nella testa delle persone e anche di altri sacerdoti, idee pericolose. Come ad esempio quella volta che aveva sottoscritto un vero e proprio documento contro il sistema camorristico. Quella lettera titolata “Per amore del mio popolo”, diffusa a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe. Un vero manifesto di rivoluzione morale e culturale realizzato insieme ai parroci della foranìa di Casal di Principe, un manifesto dell’impegno contro il sistema criminale: Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”. La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato. È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti. Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18); Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43); Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5) Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza. Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.» Forania di Casal di Principe-Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo – Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata – San Cipriano d’Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M. S.S. Assunta – Villa Literno; M.S.S. Assunta – Villa di Briano; Santuario di M.SS di Briano La giustizia arriverà a condannare Nunzio De Falco, in primo grado all’ergastolo il 30 gennaio 2003 come mandante dell’omicidio. Inizialmente De Falco tentò di far cadere le colpe sul rivale Schiavone, ma il tentativo fallì perché Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio, consegnatosi alla polizia, iniziò a collaborare con la giustizia e per questo ricevette una condanna a 14 anni. Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione condannò all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omic